Il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto in questa intervista al Dubbio traccia una road map su due direttrici: rispetto dei principi costituzionali e semplicità. E aggiunge: «Noi abbiamo l’obbligo di riportare la giustizia nell’ambito del diritto e non delle volubilità della politica del consenso: potrebbe sembrare una banalità ma ahimè non è così. Mi auguro che il diritto del consenso venga cancellato per sempre». La ministra Cartabia ha delineato un perimetro costituzionale sul “lodo prescrizione”. Al di là di questo specifico tema, il richiamo alla Carta può essere l’antidoto per spegnere ogni impennata giustizialista? La Costituzione in questa fase della legislatura è un vero e proprio ritorno al futuro. Si tratta di riprendere princìpi che sono stati molto spesso ignorati e qualche volta addirittura intaccati dalle scelte dei precedenti governi. Non dimentichiamo che i provvedimenti Bonafede nascono nella joint venture con la Lega, per poi dipanarsi in modo assolutamente decisivo nella fase di matrimonio con il Partito democratico. La Costituzione era invocata ad usum, tanto è vero che molto spesso qualcuno iniziava a soffrire di improvvise amnesie in merito ai princìpi della Carta. Oggi tornare sulla Costituzione, come la ministra Cartabia ha fatto opportunatamente nell’ambito della sua prima uscita davanti ai gruppi parlamentari, mi sembra un segnale molto incoraggiante. Gli articoli 27 e 111, come il richiamo alla giurisprudenza europea, sembrano parametri di discussione nuovi ma in realtà è grave che per troppo tempo non siano stati tenuti in considerazione. Provando a tradurre in concreto: con questa ministra sarebbe stato possibile quello che è accaduto un anno fa in commissione Antimafia, quando si è ipotizzato di limitare con legge ordinaria gli effetti della sentenza della Consulta secondo cui è illegittimo subordinare alla collaborazione del recluso la concessione dei benefici? È come chiedere se una maestra possa commettere gli errori che sono propri degli alunni. La ministra Cartabia ha un livello di cultura ineccepibile, il livello della discussione si è elevato moltissimo, tanto da mettere in difficoltà tutti coloro che anteponevano le ideologie e le relative bandierine alla riflessione giuridica. Noi abbiamo l’obbligo di riportare la giustizia nell’ambito del diritto e non delle volubilità della politica del consenso: sembra una banalità ma ahimè non è così. Mi auguro che utilizzare il diritto per il consenso occasionale sia stata solo una momentanea cattiva pratica e che venga cancellata per sempre. Ma il nostro Paese è affetto da tempo dal virus del giustizialismo. Nel nostro Paese vige la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, principio di matrice costituzionale. Si tratta di un principio che non si può invocare o ignorare a piacimento, a seconda dell’effetto voluto. Al processo va così restituita la funzione di accertamento neutro della verità: non si può considerare inutile un processo che non giunge a una condanna e leggere con sospetto un processo che invece assolve, come se questa scelta fosse un insulto alle logiche inquisitorie di certi mai domi Robespierre. Riportiamo al centro del processo il cittadino, assicurandogli le naturali garanzie, recuperiamo la giusta dimensione per l’ accertamento della verità processuale, e soprattutto chi scrive le leggi in materia, come il chirurgo che entra in sala operatoria, abbia le adeguate conoscenze da coniugare all’esperienza, nel rispetto delle decisioni del Parlamento. Può sembrare una banalità ma ho l’impressione che nell’ultimo periodo il know how nella giustizia non sia sempre stato all’altezza di un Paese che storicamente è stato tra i primi per civiltà giuridica. Secondo l’ex ministro Bonafede ogni azione giudiziaria si conclude con una condanna. Al di là delle citazioni e degli strafalcioni, questo è il momento della legislatura in cui occorre cercare di dialogare e ragionare, insieme: e tutti devono rinunciare a qualche cosa. La migliore transazione è sempre quella che lascia tutti un po’ scontenti. Se però qualcuno pensasse che in una fase di questo genere si possa solo immaginare un immobilismo per veti reciproci tradirebbe l’impegno a rispondere alle necessità del Paese che abbiamo assunto con questa compagine di governo. Io sono convinto che questo non accadrà, sicuramente troveremo delle soluzioni per modificare, termine utilizzato sia dal presidente Draghi sia dalla ministra Cartabia, alcune norme che indubbiamente manifestano una qualche mancanza di aderenza ai cardini della Carta costituzionale. Il 29 scade il termine per gli emendamenti al ddl penale. C’è chi ritiene insuperabile il lodo Conte-bis, chi propone la prescrizione a fasi. Come se ne esce? Dinanzi a tutto questo adoperiamoci per soluzioni semplici e che non siano frutto di prese di posizione ideologiche. Il diritto è semplicità. È chiaro che bisogna conoscerne la complessità di strutture ed elaborazioni, ma poi occorre individuare la soluzione, chiara ed efficace. Credo che, su questa scia, la ministra Cartabia vorrà individuare percorsi che consentano di raggiungere obiettivi consensualmente costituzionali. Lei è il relatore sulla proposta di legge per la separazione delle carriere. Non a caso, appena nominato, l'Unione Camere penali le ha scritto un messaggio pubblico: «È stato sempre al nostro fianco in difesa dei valori del diritto penale liberale e del giusto processo». Pensa che la ministra Cartabia possa dare anche un apporto tecnico alla questione? Secondo le tracce indicate dalla ministra, ci sono diversi quadranti di intervento in tema di giustizia: la prima necessità è individuare le modalità di spesa e intervento conseguenti al Recovery fund , unitamente alla questione degli esami per gli avvocati, con una possibile prova orale rafforzata , prodromica a quella tradizionale, e quella degli esami per gli aspiranti magistrati. Solo successivamente a tali emergenze sarà possibile affrontare le questioni del processo civile e di quello penale, partendo da quello che già esiste in Parlamento, quindi con attività emendative ma soprattutto di aula parlamentare, finalmente recuperata. Apro parentesi: la novità di questo governo è che si ritornerà certamente in Aula per discutere delle leggi, per vendicare, diciamo così, l’affronto che abbiamo subìto grazie all'autarchia del precedente governo e all’autoritarismo-mou dell’ex presidente del Consiglio, una satrapia dolce ma molto insidiosa. Il Parlamento, ora, tornerà centrale. Quindi, recuperando la sua domanda, le riforme ordinamentali sono certamente importanti quanto le altre ma, visto il tempo che residua, corrono a mio avviso il serio rischio di essere di difficile realizzazione. Credo profondamente nella necessità di separare le carriere: è la stessa natura del processo che esige ci sia diversità tra parti e giudici. È vero, tema decisivo: occhio però a non caricare troppo l’agenda. È preferibile una road map più scarna, minimalista ma più sicura per percorsi e traguardi. Lei sente su di sé la responsabilità di mostrare che il garantismo di Forza Italia è slegato dalle vicende di Silvio Berlusconi? Silvio Berlusconi ha patito tanto e questo costituisce per noi di Forza Italia un dato esperenziale che rafforza il convincimento che abbiamo sempre avuto: le garanzie sono una bandiera che deve sempre restare issata. Quando noi sosteniamo che al centro del processo c’è il cittadino, e non il pubblico ministero et similia, ripetiamo solo quello che è scritto nella Costituzione: non si può rendere un processo più efficiente a mezzo della decimazione delle garanzie. Se qualcuno pensa che per fare più in fretta si debbano tagliare le mani agli imputati sbaglia. Nel libro di Luca Palamara si discute di possibile persecuzione nei confronti di Berlusconi. Il libro del dottor Palamara non è il Corano, è un racconto, indubbiamente poco rassicurante, e come tale va preso. I tanti, troppi processi nei confronti del presidente Berlusconi non hanno bisogno di chiosatori o interpreti ufficiali e parlano da sé. Il libro in questione invece offre uno spaccato, gli spunti per una riflessione profonda su quelli che possono essere rapporti non lineari all’interno di certe istituzioni. Ma questo non diventi un tormentone o diversivo : il vero problema è che nel nostro sistema la sanzione è il procedimento-processo, e non la sentenza, che spesso arriva a giochi fatti. Se a questo aggiungiamo il moltiplicatore perverso del processo mediatico , l’indagato è spacciato fin dall’inizio e a prescindere. Provare a raccogliere le forze parlamentari su queste "sensibilità senza colore" può essere certamente proficuo e utile per iniziare a scrivere una nuova stagione in cui chi non ha commesso alcunché possa sentirsi garantito da un processo giusto. Come scrive la Costituzione.