«È un’occasione preziosa. Una svolta. Via il populismo giudiziario. Via il garantismo a intermittenza. Basta con la guerra termonucleare sulla giustizia che dura da vent’anni. Si intervenga sul civile, sul penale, ma poi anche sul carcere e sul Csm. Con lo sguardo rivolto alla Costituzione e all’efficienza del processo. Si può fare: se non ora, quando?». Walter Verini, che nel Pd coordina il lavoro sulla giustizia, oltre ad essere tesoriere, guarda oltre. Parte dal lodo Cartabia e lo considera un passo verso una nuova era. «Serve il contributo di tutti. Si rinunci ai totem degli uni e ai tabù degli altri».

C’è un totem, o tabù, molto ingombrante: la prescrizione. Come si fa?

Basterebbe ragionare così: interveniamo sul ddl penale in modo da ridurre davvero i tempi di tutti i procedimenti. Dopodiché, per garantire a tutti gli imputati la tutele previste dalla Carta costituzionale, si può ricorrere alla prescrizione processuale, cioè a un limite massimo di durata per ciascuna fase del processo, limite oltre il quale non si può andare.

Non è poco. Solo che Bonafede, due giorni fa, in un’intervista al Fatto quotidiano, ha detto: non si va oltre il lodo Conte bis. E quindi?

E quindi mi chiedo: preferiamo avere un processo interminabile, lunghissimo, e come corollario la prescrizione bloccata, o dall’altro lato la prescrizione che fa morire il processo? Ci siamo innamorati di un modello negativo? Se è così, certo, allora chi come il Movimento 5 Stelle è favorevole al blocco della prescrizione resterà abbarbicato a quella norma. Così come chi avversa quella norma ne chiederà la rimozione, e basta. Invece io dico: lavoriamo sul testo del ddl penale. Si tratta ormai di giorni: l’8 marzo scade il termine degli emendamenti. Eliminiamo i tempi morti del processo, recepiamo le proposte venute da avvocatura e magistratura. A quel punto a che serve preoccuparsi della prescrizione? Si introduce un limite per fasi, ma nella consapevolezza che con nuove regole, assunzioni, digitalizzazione, non si arriverebbe mai al termine di prescrizione. Il famigerato pomo della discordia verrebbe confinato sullo sfondo.

Tra l’altro la prescrizione processuale evita che un reato si estingua solo perché scoperto tardi, ma nello stesso tempo evita che l’imputato resti stritolato da un primo grado o un appello interminabili.

Vorrebbe dire tenere le regole del processo entro i margini della Costituzione. Risultato a cui servono contributi precisi: innanzitutto ridurre i tempi morti, relativi per esempio alle notifiche. Così si arriva a un processo che può durare 6 anni, con garanzie per l’aspettativa della vittima, certo non interessata ad attendere vent’anni perché maturi il pieno diritto al risarcimento, così come per l’imputato, che non può esserlo a vita, e del quale si deve presumere la non colpevolezza fino a sentenza definitiva.

Siamo sempre lì: i 5 stelle accetteranno la logica?

Mi pare l’abbiano già fatto. Siamo già d’accordo sulla via d’uscita dalla trappola delle bandierine: ridurre i tempi, sia del processo civile che del penale. Nel primo caso il governo è orientato ad anticipare alcune parti della riforma con un decreto. Nel secondo abbiamo la scadenza degli emendamenti dietro l’angolo. Sono leggi delega, d’accordo: ma una volta approvate, davvero credete ci vogliano più di tre mesi, per i decreti legislativi? Fra un anno ne siamo fuori. E possiamo occuparci anche di cambiare il Csm, nel rispetto dello sforzo di autoriforma di cui va dato atto, per esempio, al vicepresidente David Ermini. Vogliamo alzare ulteriormente l’asticella?

E certo, faccia pure.

Credo che una fase politica in grado di andare avanti per due anni possa sciogliere anche il nodo dell’abuso d’ufficio. Sindaci e amministratori devono poter lavorare senza l’ansia di rispondere penalmente per scelte compiute nell’interesse pubblico. Il reato andrebbe circoscritto ai fatti gravi e dolosi.

Programma da condividere. Sempre che i 5 stelle si affranchino dal totem prescrizione.

Basta concentrarsi sul fine ultimo di tutte le riforme della giustizia: più efficienza nel rispetto della Costituzione. È lo spirito dell’ordine del giorno, predisposto alla Camera con la ministra Marta Cartabia. È anche una preziosissima occasione per smettere di usare la giustizia come una clava. E per lasciarci alle spalle vent’anni di guerre termonucleari. Capisco le tensioni all’interno del Movimento 5 Stelle. Ma credo sia il momento di deporre le bandiere e guardare oltre. Certo, sui giornali leggo editoriali che insinuano il veleno nel fronte dei pentastellati, con messaggi del tipo “vogliono fregarvi sulla vostra riforma della prescrizione”. Da sponda opposta c’è chi definisce vergognoso l’accantonamento della prescrizione. Io dico: sotterriamo l’ascia, stipuliamo una tregua e cambiamo definitivamente prospettiva. Senza concentrarci sulla bandierina della prescrizione. L’ordine del giorno è un invito sottoscritto da tutti.

Insomma, lei confida in un passo avanti.

Colgo un segnale. Nella commissione Giustizia di Montecitorio sono relatore di una legge voluta da Paolo Siani, fratello del giornalista ucciso dalla camorra, per superare la vergogna dei bambini in carcere. Ho illustrato il testo oggi (ieri per chi legge, ndr): sono d’accordo tutti, nessuno escluso. Forza Italia ha proposto il ricorso alla procedura deliberante: vorrebbe dire legge approvata senza il passaggio in Aula, in tempi brevissimi. Mi pare il miglior auspicio possibile per liberarci delle discussioni tossiche sulla giustizia. E per andare verso un’altra importante riforma.

Quale?

Quella dell’ordinamento penitenziario. Va recuperato il testo Orlando in tutte le sue parti, con la formazione, il lavoro, le misure alternative. Significa davvero ridurre le recidive, in vista di una maggiore sicurezza. Come Pd ne avevamo già parlato durante i tentativi di non compromettere il Conte bis, con il lodo Orlando. Abbiamo riproposto al presidente Draghi anche la necessità di riformare il carcere. Si può fare.

Affrancarsi dalle bandierine sulla giustizia renderà più interessante anche il futuro dell’intesa fra Pd e M5S?

Mi limito a dire una cosa. Solo sulla riforma del processo penale abbiamo svolto oltre quaranta sedute di audizione: avvocatura, magistratura, accademia, associazioni. C’è un confronto intenso. Ci sono tutte le condizioni per superare gli aspetti tossici e divisivi, in modo da dedicarsi solo alla pars costruens. Facciamolo: se non ora, quando? Non ci guadagna un’alleanza ma il Paese. Credo sia maturata una consapevolezza nuova anche all’interno della magistratura. Ho letto l’intervista al Dubbio di Giuseppe Santalucia, presidente dell’Anm, figura apprezzata, che non fa esercizi di rimozione. A un impegno del genere si deve guardare con rispetto. Vedo una sguardo rivolto al futuro, da parte di tutti. Libero, finalmente, dagli opposti estremismi.