«La pandemia non sarà una parentesi», ha ricordato Mario Draghi nel discorso sulla fiducia al Senato. Probabilmente neppure il suo governo lo sarà. Le forze politiche si comportano come se, al ritorno dal viaggio sulla strana nave nella quale si trovano fianco a fianco partiti di opposte appartenenze e visione, fossero destinati a trovare lo stesso quadro che si stanno lasciando alle spalle. Lo stesso assetto istituzionale, la stessa disposizione politica, gli stessi umori dell'opinione pubblica, cioè degli elettori, del Paese. Probabilmente non sarà così su nessuno dei tre fronti.

Il mandato di Draghi dovrebbe arrivare sino alla scadenza naturale della legislatura, tra due anni. Nessuno scommetterebbe che sarà davvero così. Tra un anno si eleggerà il nuovo capo dello Stato. Dopo essere stato appoggiato come premier da una maggioranza così vasta, Draghi è il candidato naturale. L'impatto sulla Costituzione materiale sarebbe, e probabilmente sarà, di rilievo eminente. In un anno Draghi non avrà il tempo di portare a termine le riforme in programma. Potrà solo incardinarle, seguendo la stessa strategia già adoperata nel 2012 come presidente della Bce: predeterminare una sorta di percorso obbligato che si dovrà poi seguire con quello che lui stesso definì allora «un pilota automatico».

Ma la confusa politica italiana è meno facilmente governabile con un pilota automatico della politica monetaria della Bce. Il controllo e la manutenzione saranno necessari. Dal Colle Draghi non potrebbe che occuparsene di persona, modificando però così di fatto il ruolo del capo dello Stato nella Costituzione materiale se non, o non ancora, in quella formale.

La disposizione sulla scacchiera dei partiti, le alleanze e i poli in campo, saranno le stesse? È lecito dubitarne. A destra la coalizione è senza dubbio più salda. La conversione a sorpresa di Salvini ha spostato l'asse in direzione centrista lasciando sola Giorgia Meloni che però non sembra volersi far sedurre dalle sirene di una opposizione sovranista strenua che probabilmente le regalerebbe voti ma la condannerrebbe anche all'isolamento politico. Al contrario, si è adeguata proponendo un modello di opposizione dialogante, sino a dichiarare che Draghi potrà fidarsi più di FdI che di buona parte della sua maggioranza.

Ma inevitabilmente la flotta di centrodestra risentirà di due possibili onde nel campo avversario. Se la scissione dei 5S, perché di questo si tratta, partorirà una formazione sovranista aggressiva, pur se spostata a sinistra rispetto a FdI, la concorrenza costringerà Meloni a calcare i toni, inasprire l'opposizione e rischiare una lacerazione più profonda con quelli che sono ancora e a tutti gli effetti alleati. È anche prevedibile che Renzi tenterà in ogni modo di rimescolare le carte e un eventuale polo centrista potrebbe attrarre, se non l'intera Fi, almeno una sua ala.

Gli scossoni più forti potrebbero però prodursi sull'altro lato della scacchiera. Grillo ha scelto di blindare l'asse con il Pd anche a costo di spingere fuori dal Movimento, come ha in realtà fatto, un numero elevato di dissidenti. Zingaretti non è meno deciso e non lo sarà, avendo scommesso le sorti della sua segreteria sulla trasformazione dell'alleanza Pd- M5S- LeU in coalizione politica. Ma buona parte del suo partito è invece più dubbiosa. Tra i convinti ci sono quelli che, comunque, non intendono far arrivare il segretario sino al momento topico della composizione della lista elettorale e l'eventuale competizione degli scissionisti, soprattutto se con Di Battista leader, potrebbe incalzare i 5S costringendoli ad alzare i toni a tutto vantaggio di chi, nel Pd, è già pronto a denunciare l'asse col Movimento.

Sull'evolversi delle rispettive posizioni e del quadro generale incideranno, oltre ai probabili imprevisti nel percorso del governo, elementi per ora del tutto incerti: l'esito delle prossime elezioni amministrative, che potrebbe provocare un terremoto non solo nel Pd, le scelte di Conte, che deve ancora decidere se proporsi come leader dei 5S o candidato federatore al di sopra delle parti, e infine la legge elettorale, che come sempre sarà la bussola che orienterà in parte non secondaria le scelte di ciascun partito.