Solo dopo aver letto 7107 battute (spazi inclusi) delle sue dichiarazioni programmatiche al Senato, Mario Draghi ha scandito le 87 battute (spazi inclusi) che illuminano l’intero tragitto che s’è snodato nel nostro paese a partire dalla scelta di Mattarella di convocare l’ex presidente della Bce al Quirinale per affidare, proprio a lui, con una decisione che è apparsa ed è stata presentata subito assolutamente priva di alternative, la formazione di un “nuovo” governo.
«Sostenere questo Governo – ha scandito Draghi – significa condividere la irreversibilità della scelta dell’euro». Una frase dura, mai esibita in passato con tanta nettezza e determinazione perché i governi che si sono succeduti da quando Ciampi (che di Draghi fu uno dei Maestri) e l’europeista Prodi, forzando i tempi e con una decisione improvvisa, agganciarono l’Italia alla moneta europea per non perdere l’unico treno capace di impedire un ridimensionamento drastico del nostro paese nel tempo della globalizzazione e, insieme, per costringere l’Italia, gli italiani, la politica del Belpaese, a fare i conti con le proprie arretratezze e contraddizioni mai affrontate fino in fondo.
Dichiarare tanto solennemente l’irreversibilità dell’euro nell’aula del Senato della Repubblica per l’Italia significa, è questo il fatto nuovo e di rottura, che i governi, a partire da quello di Draghi in avanti, dovranno operare con la consapevolezza che ad essere irreversibile è prima di tutto il processo che spinge verso l’unità, o ancor meglio, verso gli Stati Uniti d’Europa. È così da un bel po’ di anni. Ma tutti i governi del paese, fin da quando questo aspetto è diventato evidente, si sono sempre ben guardati, dal dichiarare e accettare il contesto in cui abbiamo liberamente accettato di collocarci, e soprattutto di operare, tenendone conto.
Un atteggiamento figlio della debolezza politica degli assetti istituzionali e della politica italiani negli ultimi decenni, ma soprattutto dovuto alle nostre difficoltà mai affrontate – fisco, occupazione, assetti istituzionali, Nord/ Sud, modernizzazione infrastrutturale, necessità di una giustizia rapida e insieme garantista. È mancata inoltre la consapevolezza che verso l’Unità europea si può avanzare nella salvaguardia di culture e orientamenti politici diversi e anche alternativi con l’unica eccezione delle culture di arrogante nazionalismo ed esasperato sovranismo. Ecco perché con Mattarella e Draghi siamo entrati in una nuova Repubblica, la Terza.
Così è nata la Terza Repubblica
Solo dopo aver letto 7107 battute (spazi inclusi) delle sue dichiarazioni programmatiche al Senato, Mario Draghi ha scandito le 87 battute (spazi inclusi) che illuminano l’intero tragitto che s’è snodato nel nostro paese a partire dalla scelta di Mattarella di convocare l’ex presidente della Bce al Quirinale per affidare, proprio a lui, con una decisione che è apparsa ed è stata presentata subito assolutamente priva di alternative, la formazione di un “nuovo” governo.
«Sostenere questo Governo – ha scandito Draghi – significa condividere la irreversibilità della scelta dell’euro». Una frase dura, mai esibita in passato con tanta nettezza e determinazione perché i governi che si sono succeduti da quando Ciampi (che di Draghi fu uno dei Maestri) e l’europeista Prodi, forzando i tempi e con una decisione improvvisa, agganciarono l’Italia alla moneta europea per non perdere l’unico treno capace di impedire un ridimensionamento drastico del nostro paese nel tempo della globalizzazione e, insieme, per costringere l’Italia, gli italiani, la politica del Belpaese, a fare i conti con le proprie arretratezze e contraddizioni mai affrontate fino in fondo.
Dichiarare tanto solennemente l’irreversibilità dell’euro nell’aula del Senato della Repubblica per l’Italia significa, è questo il fatto nuovo e di rottura, che i governi, a partire da quello di Draghi in avanti, dovranno operare con la consapevolezza che ad essere irreversibile è prima di tutto il processo che spinge verso l’unità, o ancor meglio, verso gli Stati Uniti d’Europa. È così da un bel po’ di anni. Ma tutti i governi del paese, fin da quando questo aspetto è diventato evidente, si sono sempre ben guardati, dal dichiarare e accettare il contesto in cui abbiamo liberamente accettato di collocarci, e soprattutto di operare, tenendone conto.
Un atteggiamento figlio della debolezza politica degli assetti istituzionali e della politica italiani negli ultimi decenni, ma soprattutto dovuto alle nostre difficoltà mai affrontate – fisco, occupazione, assetti istituzionali, Nord/ Sud, modernizzazione infrastrutturale, necessità di una giustizia rapida e insieme garantista. È mancata inoltre la consapevolezza che verso l’Unità europea si può avanzare nella salvaguardia di culture e orientamenti politici diversi e anche alternativi con l’unica eccezione delle culture di arrogante nazionalismo ed esasperato sovranismo. Ecco perché con Mattarella e Draghi siamo entrati in una nuova Repubblica, la Terza.
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