Doveva essere un discorso breve. È durato quasi un'ora. Mario Draghi ha scelto di mettere in campo il suo programma con una ricchezza di dettagli superiore al solito. Prima però ha voluto chiarire due cose. La prima, d'obbligo, era la natura specifica di un governo che non può essere definito in alcun modo se non come «del Paese». Sostenuto dunque da una maggioranza in cui ciascuno mantiene le proprie identità senza confusione ma accetta di sacrificarne per un po' alcune parti in nome della comune emergenza. La precisazione era necessaria perché il rischio che maggioranza e governo diventino non solo un'area di confronto e conflitto, come è inevitabile ma anche l'arena di una rissa permanente e devastante per tutti. L'intergruppo dei tre partiti della ex maggioranza al Senato è da questo punto di vista un segnale chiaro, pur se da parte di quei partiti doveroso.

La seconda specifica, invece, non era prevista ed è stata chiaramente aggiunta all'ultimo momento. A Salvini, che aveva definito l'euro «non irreversibile», il premier non si è limitato a rispondere sostenendo il contrario. La formula che ha scelto è molto più acuminata: «Sostenere questo governo significa condividere l'irreversibilità della scelta dell'euro». La Lega deve sapere che il lavacro di questa esperienza schiuderà probabilmente le porte della legittimazione europea. Ma a prezzo caro e senza permettere furbizie.

Alla maggioranza del governo uscente Draghi ha concesso l'onore delle armi per Conte ed è stato molto attento a indorare quello che di fatto è uno scarto netto con parole zuccherate e formula vaghe. Il Recovery Plan di Conte, ha detto, va benissimo negli obiettivi, che ha citato uno per uno e che corrispondono al mandato europeo: innovazione, digitalizzazione, transizione ecologica, cultura, equità sociale. Certo, quelle missioni «potranno essere rimodulate e riaccorpate». Saranno certamente «rafforzate» sia negli «obiettivi strategici che nelle riforme che li accompagnano». Un modo elegante e rispettoso per dire che il Recovery sarà riscritto per quanto riguarda le tre riforme cardine, PA, giustizia civile e fisco, ma anche nell'asse portante che è in tutta evidenza la transizione ecologica.

Mai un premier si era dilungato tanto sull'emergenza ambientale. Mai nessuno aveva tanto calcato la mano sull'esigenza di mettere mano subito alla riconversione energetica, alla messa in sicurezza del territorio, al contrasto ai cambiamenti climatici. Non è, o non è solo, conseguenza di una spiccata sensibilità personale al tema. È il cuore stesso del progetto europeo: una riconversione che tocca i fondamenti stessi della produzione, le fonti energetiche. Necessaria per restare competitivi, difficile da realizzare, ostacolata dagli anelli deboli, tra i quali l'Italia primeggia. Il compito del Next Generation Eu non è solo salvare l'Italia dalla crisi conseguente alla pandemia ma anche, per certi versi soprattutto, adeguare il Paese alla sfida di quella riconversione.

È un processo che impatterà a fondo sull'economia reale. Draghi lo dice chiaramente. Alcune aziende andranno sostenute altre dovranno essere accompagnate nella riconversione. Molte non ce la faranno e non potranno essere sostenute dallo Stato. I costi sociali possono essere alti mentre quelli della pandemia, come il premier dimostra snocciolando cifre e percentuali, già lo sono. La promessa di assicurare protezione ricalca invece davvero le orme di del governo Conte. Il premier assegna massima importanza alla scuola, e lo si era già capito dalle consultazioni. In aula ha confermato l'intenzione di «recuperare» le ore perse con la Dad, che soprattutto nel Sud ha funzionato poco. Dovrebbe significare tenere le scuole aperte sino alla fine di luglio e il passaggio ha fatto drizzare i capelli ai sindacati, perché per i docenti la Dad non ha comportato affatto una mole minore di lavoro. Casomai il contrario.

Altro argomento centrale la disparità del genere. Draghi dimostra, cifre alla mano, che da quel punto di vista l'Italia e in coda al treno della Ue. La crisi peggiorerà le cose. Già ha colpito soprattutto donne e giovani. Il trend sarà confermato e molto rafforzato quando, come prima o poi inevitabilmente capiterà, il blocco dei licenziamenti terminerà. La formula di Draghi passa per una forte incentivazione della presenza femminile anche ai vertici delle imprese, dove è paurosamente scarsa, soprattutto nel Sud.

Quello di Draghi è un programma circoscritto, che lascia al Parlamento la gestione di quanto non attiene alla mission illustrata ieri. Ma si tratta anche di un programma estremamente ambizioso, di realizzazione impossibile senza quell'unità che per Draghi «è un dovere, non un'opzine». Scommessa difficile, con posta per l'Italia altissima.