Caro Pignatone, il tribunale del popolo che processò Sciascia è ancora in piedi…
Sono passati anni dagli attacchi contro Sciascia ed è un bene che un ex magistrato del livello di Giuseppe Pignatone riesca a parlarne con serenità e intelligenza
«Rimane sempre valido, al di là dell’evoluzione del fenomeno criminale e dei progressi delle tecniche investigative, il nucleo essenziale del pensiero di Sciascia sulla mafia e sui temi della giustizia: “La repressione violenta e indiscriminata, l’abolizione dei diritti dei singoli non sono gli strumenti migliori per combattere certi tipi di delitti e associazioni criminali come mafia, ‘ndrangheta e camorra”. E ancora: “La soluzione passerà attraverso il diritto o non ci sarà; opporre alla mafia un’altra mafia non porterebbe a niente, porterebbe a un fallimento completo”. Non credo che si possa dire altro, e meglio». Si chiude così l’editoriale dell’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, pubblicato su La Stampa di ieri; si chiude con questa lunga e bellissima citazione di Leonardo Sciascia.
Diciamolo subito: l’omaggio allo scrittore siciliano da parte del magistrato di “Mafia Capitale” era tutt’altro che scontato. L’idea secondo cui le mafie “ non si combattono con la terribilità della giustizia ma col diritto” – per dirla sempre con Sciascia – è stata osteggiata per anni dall’ala dura dell’antimafia e da un certo numero di procure che spesso, in nome della guerra alla criminalità organizzata, hanno chiesto ( a volte preteso) di chiudere un occhio sul mancato rispetto dei diritti, quasi che la Costituzione fosse un ostacolo, un inutile intralcio. E non parliamo di Pignatone, naturalmente. Il quale sa bene che lo scrittore siciliano pagò cara la propria libertà di pensiero. Le truppe dell’antimafia militante lo misero all’indice e gli diedero del “quaquaraquà”. Sciascia subì attacchi violentissimi e volgarissimi, finì “sotto processo” e rispose in modo dolente a quegli insulti inaspettati: “Non molti anni fa – raccontò in quel periodo – si diceva che facevano il gioco di qualcuno o di qualcosa che bisognava invece combattere”. E poi, sempre più esplicito e sofferente, nella famosa e penosa polemica con Nando Dalla Chiesa, scrisse: “Il figlio del generale ( Dalla Chiesa ndr) arriva ad affermare, in una intervista, che con le mie dichiarazioni avevo fatto il gioco della mafia. Ora io non riesco a capire perché dicendo queste cose si faccia il gioco della mafia. Ma dire che si fa il gioco della mafia è gratuita e sciocca diffamazione”.
E quando il Corriere della Sera pubblicò il suo famoso articolo sui “professionisti dell’antimafia”, gli attacchi furono ancora più brutali. L’autonominato Coordinamento antimafia, lo stesso che gli diede del quaquaraquà, scrisse parole rabbiose e durissime: “Siamo certiche Sciascia, un po’ per una certa affinità di cultura, oltre che per spirito di anticonformismo, preferisca ad Orlando i sindaci che lo hanno preceduto: magari quelli degli anni ‘ 60, come Ciancimino” E infine la “sentenza”: “Marchiarlo come mafioso sarebbe possibile solo facendo un torto alla nostra intelligenza ed alla sua memoria storica… Non ce ne voglia, allora, l’illuminato uomo di cultura Leonardo Sciascia, se per questa volta, con tutta la nostra forza, lo collochiamo ai margini della società civile”.
Replica dello scrittore: “ Non so chi faccia parte di questo coordinamento, immagino però che ci sia una prevalenza comunista. Invece di darmi il confino di polizia mi hanno dato il confino ai margini della società civile. Ma il guaio è che dove finisce la loro società civile comincia il diritto”. E poi: “La lotta alla mafia si fa attraverso il diritto. Ad un coordinamento simile farei credito se avesse emesso un comunicato quando un cittadino è entrato vivo in questura e se ne è uscito morto”.
Sono passati più di trent’anni da quelle polemiche, da quegli attacchi così sguaiati ed è un bene che oggi un ex magistrato del livello di Giuseppe Pignatone riesca a parlarne con serenità e intelligenza. Anche perché la macchina infernale che ha processato Sciascia in pubblica piazza, viaggia ancora a pieno regime. E quel meccanismo perverso che lo ha stritolato viene oliato quotidianamente dai nuovi professionisti dell’antimafia e dai “custodi della legalità”.
Oggi come ieri chiunque alzi la bandiera dei diritti e delle garanzie è inserito d’ufficio nella black-list dei cattivi, quasi ci fosse una sorta di connivenza mafiosa da parte di chi invece sta solo riaffermando i principi costituzionali. Lo sanno bene le migliaia di avvocati che vengono descritti come complici dei presunti colpevoli (e ribadiamo presunti) mentre invece stanno esercitando il diritto inviolabile alla difesa. Insomma, Sciascia non c’è più ma il “tribunale del popolo” è ancora al suo posto.
Caro Pignatone, il tribunale del popolo che processò Sciascia è ancora in piedi…
«Rimane sempre valido, al di là dell’evoluzione del fenomeno criminale e dei progressi delle tecniche investigative, il nucleo essenziale del pensiero di Sciascia sulla mafia e sui temi della giustizia: “La repressione violenta e indiscriminata, l’abolizione dei diritti dei singoli non sono gli strumenti migliori per combattere certi tipi di delitti e associazioni criminali come mafia, ‘ndrangheta e camorra”. E ancora: “La soluzione passerà attraverso il diritto o non ci sarà; opporre alla mafia un’altra mafia non porterebbe a niente, porterebbe a un fallimento completo”. Non credo che si possa dire altro, e meglio». Si chiude così l’editoriale dell’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, pubblicato su La Stampa di ieri; si chiude con questa lunga e bellissima citazione di Leonardo Sciascia.
Diciamolo subito: l’omaggio allo scrittore siciliano da parte del magistrato di “Mafia Capitale” era tutt’altro che scontato. L’idea secondo cui le mafie “ non si combattono con la terribilità della giustizia ma col diritto” – per dirla sempre con Sciascia – è stata osteggiata per anni dall’ala dura dell’antimafia e da un certo numero di procure che spesso, in nome della guerra alla criminalità organizzata, hanno chiesto ( a volte preteso) di chiudere un occhio sul mancato rispetto dei diritti, quasi che la Costituzione fosse un ostacolo, un inutile intralcio. E non parliamo di Pignatone, naturalmente. Il quale sa bene che lo scrittore siciliano pagò cara la propria libertà di pensiero. Le truppe dell’antimafia militante lo misero all’indice e gli diedero del “quaquaraquà”. Sciascia subì attacchi violentissimi e volgarissimi, finì “sotto processo” e rispose in modo dolente a quegli insulti inaspettati: “Non molti anni fa – raccontò in quel periodo – si diceva che facevano il gioco di qualcuno o di qualcosa che bisognava invece combattere”. E poi, sempre più esplicito e sofferente, nella famosa e penosa polemica con Nando Dalla Chiesa, scrisse: “Il figlio del generale ( Dalla Chiesa ndr) arriva ad affermare, in una intervista, che con le mie dichiarazioni avevo fatto il gioco della mafia. Ora io non riesco a capire perché dicendo queste cose si faccia il gioco della mafia. Ma dire che si fa il gioco della mafia è gratuita e sciocca diffamazione”.
E quando il Corriere della Sera pubblicò il suo famoso articolo sui “professionisti dell’antimafia”, gli attacchi furono ancora più brutali. L’autonominato Coordinamento antimafia, lo stesso che gli diede del quaquaraquà, scrisse parole rabbiose e durissime: “Siamo certi che Sciascia, un po’ per una certa affinità di cultura, oltre che per spirito di anticonformismo, preferisca ad Orlando i sindaci che lo hanno preceduto: magari quelli degli anni ‘ 60, come Ciancimino” E infine la “sentenza”: “Marchiarlo come mafioso sarebbe possibile solo facendo un torto alla nostra intelligenza ed alla sua memoria storica… Non ce ne voglia, allora, l’illuminato uomo di cultura Leonardo Sciascia, se per questa volta, con tutta la nostra forza, lo collochiamo ai margini della società civile”.
Replica dello scrittore: “ Non so chi faccia parte di questo coordinamento, immagino però che ci sia una prevalenza comunista. Invece di darmi il confino di polizia mi hanno dato il confino ai margini della società civile. Ma il guaio è che dove finisce la loro società civile comincia il diritto”. E poi: “La lotta alla mafia si fa attraverso il diritto. Ad un coordinamento simile farei credito se avesse emesso un comunicato quando un cittadino è entrato vivo in questura e se ne è uscito morto”.
Sono passati più di trent’anni da quelle polemiche, da quegli attacchi così sguaiati ed è un bene che oggi un ex magistrato del livello di Giuseppe Pignatone riesca a parlarne con serenità e intelligenza. Anche perché la macchina infernale che ha processato Sciascia in pubblica piazza, viaggia ancora a pieno regime. E quel meccanismo perverso che lo ha stritolato viene oliato quotidianamente dai nuovi professionisti dell’antimafia e dai “custodi della legalità”.
Oggi come ieri chiunque alzi la bandiera dei diritti e delle garanzie è inserito d’ufficio nella black-list dei cattivi, quasi ci fosse una sorta di connivenza mafiosa da parte di chi invece sta solo riaffermando i principi costituzionali. Lo sanno bene le migliaia di avvocati che vengono descritti come complici dei presunti colpevoli (e ribadiamo presunti) mentre invece stanno esercitando il diritto inviolabile alla difesa. Insomma, Sciascia non c’è più ma il “tribunale del popolo” è ancora al suo posto.
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