Nicola Morra presidente dell’Antimafia, nei mesi scorsi contestato da Forza Italia che ne aveva chiesto le dimissioni per le sue valutazioni politiche su Jole Santelli, richiesta respinta da Morra perché di diverso avviso politico, viene ora indagato dalla procura di Cosenza, su denuncia dei familiari della Santelli, che dell’Antimafia fu vice presidente con Morra Presidente, per diffamazione aggravata e continua.

Morra, gesto per lui inedito, contrattacca la procura: «Sarà certamente un caso, due giorni fa ho dato notizia dell’audizione di Luca Palamara in Commissione Antimafia, sarà qualche altra cosa, però apprendo da un’agenzia di essere indagato». Intanto, tranquillizziamo Morra: non si tratta di un’altra cosa, ma è stato indagato proprio del caso Morra-Santelli. Inoltre, secondo noi, sempre garantisti quanto e come impone la Costituzione, Morra ha ragione: sul caso Santelli ha espresso solo giudizi politici, anche se infelici e difficilmente condivisibili.

Ma quale messaggio lancia Morra, ne sia consapevole o no, con la sua dichiarazione? Fa sapere: io sto per illuminare lo scempio interno alla magistratura emerso dal caso Palamara e un magistrato mi mette al centro di un’indagine. Non sappiamo se le cose stanno veramente così o se la denuncia dei familiari della Santelli dovesse obbligatoriamente essere presa in considerazione. Sappiamo però che il meccanismo insinuato da Morra è quello che abitualmente scatta quasi sempre quando ci sono di mezzo uomini politici o personaggi in vista che possono facilmente finire sui giornali. Loro, sputtanati e con carriera rallentata; i magistrati, applauditi e con carriera velocizzata. Morra in tutti quei casi, non è facile ricordare una qualche eccezione, ha sempre sostenuto e spinto, verso le dimissioni degli imputati dalle proprie cariche pubbliche. Sarebbe veramente clamoroso, e Morra sconfesserebbe la sua intera carriera politica, se ora non si dimettesse come è giusto chiedergli in nome della coerenza che è diritto- dovere dei politici, da presidente dell’Antimafia.

P. S. E gli andrebbe anche bene. Si dimetterebbe da una Commissione che già 27 anni fa Dario Gambetta, uno dei più autorevoli studiosi del Novecento delle mafie, giudicava inutile. «Si ha l’impressione - scriveva da Oxford in una delle riedizioni del sua opera fondamentale che questo istituto, di cui pure fecero parte Cesare Terranova e Pio La Torre che hanno pagato con la vita la loro lotta alla mafia - sia servito come una palestra in cui le forze di Governo permettevano all’opposizione di sinistra di menare pugni antimafia purché rigorosamente nel vuoto». ( Dario Gambetta, La mafia siciliana, pag XI dell’introduzione, Einaudi, 1994)