E adesso che fare? Rimanere nel Movimento 5 Stelle in attesa dell’espulsione o provare a giocare d’anticipo consumando una piccola scissione dell’ala ribelle? Sono questi gli interrogativi che agitano il sonno della “fronda” pentastellata intenzionata a ignorare il responso di Rousseau, negando la fiducia a Mario Draghi. Il tempo a disposizione è poco: entro martedì, quando il premier si presenterà in Aula, gli ortodossi dovranno aver pianificato una linea. «Ci stiamo ragionando attentamente ma serve qualche giorno di decompressione per decidere a mente fredda. Di certo, rimanere dentro al M5S non sembra più possibile», dice una fonte autorevole del blocco oltranzista. Le alternative, in effetti, non sono molte: impensabile immaginare la convivenza pacifica di una corrente radicale anti Draghi, insieme a una maggioranza governista. Ai duri e puri una ventina di parlamentari, di cui 12 senatori - non resta che tentare la strada della scissione. Ovviamente, molto dipende da ciò che deciderà di fare Alessandro Di Battista, ormai fuori dal partito e per questo temuto dai suoi ex compagni di ventura ( da Di Maio a Toninelli) che lo osannano sperando che ritorni mestamente a vita privata. L’ex deputato, eternamente combattuto, alterna propositi incendiari a frasi del tipo «qualora il governo Draghi dovesse fare delle cose buone io le sosterrò», mandando il tilt gli irriducibili in attesa di un suo segnale per “scatenare l’inferno”. La fronda ha bisogno di un leader riconoscibile, ma se Dibba continuasse crogiolarsi nella sua proverbiale indecisione i ribelli potrebbero decidere di fare per conto proprio. «Intanto diamo un segnale al Paese, l’opposizione al governo con Berlusconi non è monopolio di Giorgia Meloni. Noi siamo parlamentari, abbiamo il dovere di rispondere ai nostri elettori, la scissione possiamo cominciare a farla in Aula e poi si vedrà», spiega un potenziale scissionista. Il confronto viaggia via telefono, via zoom e via chat whatsapp. I numeri consentirebbero di immaginare un Gruppo autonomo al Senato, ma manca il requisito che ha consentito a Italia viva di abbandonare il Pd senza perdere i privilegi della rappresentanza d’Aula: un simbolo in prestito. I renziani, infatti, hanno dato vita a un Gruppo grazie alla gentile concessione del socialista Riccardo Nencini, che ha messo a disposizione dell’ex premier il logo “Italia Europa Insieme”, formazione dello 0,6 per cento, presente sulle schede elettorali nel 2018 in coalizione col centrosinistra, e capace di eleggere un senatore all’uninominale: Nencini stesso. Una piccola forzatura nell’interpretazione dei regolamenti, secondo molti giuristi, ha permesso così a Italia viva di non finire nelle sabbie mobili del Misto. Ed è proprio a partire da quella forzatura che, probabilmente, si accendono le speranze dei grillini scissionisti. A quanto pare, infatti, a offrire agli ex M5S “l’usufrutto” di un simbolo si sarebbero presentati ben «due partiti alla sinistra del Pd. Un’offerta volontaria, senza che noi gli avessimo chiesto niente». Ma quali possono essere i partiti alla sinistra del Pd pronti a “prestare” il loro simbolo agli scissionisti? Le nostre fonti si rifiutano di rivelare l’identità dei possibili benefattori per non far saltare l’operazione ancor prima del concepimento. Non resta dunque che provare ad andare per esclusione. L’unica formazione alla sinistra dei dem presente in Parlamento è Liberi e Uguali, a sua volta però figlia di ben tre distinti partiti: Articolo 1, Sinistra italiana e Possibile. Tra loro, solo Sinistra italiana e Possibile potrebbero nutrire sentimenti anti Draghi. Ma anche qualora l’offerta agli scissionisti fosse arrivata da quegli ambienti politici, sarebbe tecnincamente possibile cedere un simbolo di partito “logo” non presente sulla scheda elettorale? «Fa fede il simbolo presente sulla scheda elettorale», spiega Nicola Lupo, ordinario di Diritto delle assemblee elettive alla Luiss Guido Carli. E nel 2018 i marchi di di Art 1, Si e Possibile non erano presenti sulle schede nemmeno come sottogruppi di Leu. Quindi il “prestito” di uno di quei simboli non sarebbe comunque sufficiente. «Ciò non significa che qualcuno non ci possa provare» a chiedere uno strappo alla regola, spiega Lupo. «Ma già l’interpretazione prevalsa nel caso Italia viva è piuttosto estensiva e abbastanza criticabile», aggiunge il professore, «ulteriori forzature mi sembrano abbastanza ardite».

In queste condizioni, il percorso solitario dei grillini ribelli si presenta dunque in salita. Anche se nulla è perduto. «Qualche flessibilità» interpretativa «potrebbe comunque essere accettata per la creazione di una componente politica all’interno del gruppo Misto», dice il professor Lupo. Non sarà l’assalto al cielo immaginato ma è già qualcosa.