Il Covid ha schiacciato il diritto di difesa, con ripercussioni sulle attività che ancora si svolgono nelle aule giudiziarie. L’avvocata Agnese Menna ha raccontato ieri un episodio che ha interessato lei e alcuni suoi assistiti nel corso di un’udienza di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di pace di Velletri, i cui uffici, però, si trovano ad Albano Laziale, in provincia di Roma. La professionista ha raccontato in un post sulla propria pagina facebook come le sia stato impedito di sostenere le ragioni degli assistiti per un “eccesso” di oralità, contestatole in udienza, e una presenza prolungata in aula. Un vero e proprio paradosso, considerato che l’attività forense si fonda sulla parola e sulla formulazione prevalentemente orale delle argomentazioni delle tesi difensive. L’avvocata Menna ha denunciato il duro confronto avuto con il giudice di pace, che ha portato a una reazione di quest’ultimo tanto seccata quanto sgarbata. «Il giudice – racconta la professionista – mi ha detto: “Lei non può parlare”. A quel punto ho cercato di spiegare che i miei clienti stanno subendo un pignoramento. Il giudice ha replicato, dicendomi “a me non interessa niente di cosa stanno subendo i suoi clienti”». A quel punto la situazione ha preso una piega a dir poco inaspettata. Motivo dell’irritazione del giudice di pace  di Velletri sarebbe stata la violazione delle disposizioni anti covid da parte dell’avvocata Menna, con la contestazione di una presenza prolungata in aula. Situazione rilevata nel verbale di udienza con conseguente abbandono dell’aula da parte dello stesso giudice di pace. La reazione dell’avvocata non si è fatta attendere. Ha protestato per il trattamento ricevuto, le espressioni usate dal giudice e le modalità di gestione dell’udienza. «Ho chiamato i carabinieri e la dirigente dell’ufficio – rileva Menna – rifiutandomi a quel punto di lasciare l’aula qualora il giudice non avesse interlineato quanto verbalizzato perché non rispondente al vero. Ho ottenuto quanto richiesto, ma sono ancora scossa da questo comportamento che ritengo un abuso di potere». L’episodio ha suscitato indignazione e stupore, soprattutto tra gli avvocati che ogni giorno fanno i conti con rinvii, lungaggini di vario genere e sono reduci da un anno massacrante, il 2020, che ha influito sulla qualità del lavoro e sui fatturati. L’avvocato Stefano Bertollini, componente del Cnf e già presidente del Coa di Velletri, ritiene che quanto accaduto alla collega Menna sia la conseguenza di una serie di criticità che si trascinano da anni. «Da tempo – dice – denunciamo le condizioni in cui versano gli uffici del giudice di pace di Velletri, ai quali sono state accorpate le sedi di Anzio, Frascati e Albano Laziale. Il numero dei giudici di pace è insufficiente per far fronte alla domanda di giustizia in un territorio che conta circa 650mila abitanti. Le attenzioni, spiace rilevarlo, nei confronti di questo presidio sono state pari a zero».Secondo Bertollini, quando si lavora in carenza di organico, facendo i conti con un carico spropositato di fascicoli da gestire, i rapporti tra i protagonisti della giurisdizione si esasperano: «Va detto, comunque, che il comportamento del giudice di pace è esecrabile. La sua immagine nella vicenda che ha interessato la collega Menna non ne esce bene se si pensa che con l’intervento dei carabinieri e di un cancelliere il verbale d’udienza è stato rivisto e modificato. Fatto anche questo grave». L’auspicio, aggiunge il consigliere Cnf, è che episodi come quello che ha interessato il giudice di pace di Velletri non si verifichino più. «La pandemia – commenta – non sia un pretesto per comportamenti che nulla hanno a che vedere con le attività processuali e per comprimere i diritti e le libertà civili. Il giudice di pace intercetta tante esigenze ed è un imprescindibile presidio di giustizia. Si facciano tutti gli sforzi possibili per tenere l’attenzione massima sulla giustizia di prossimità».