«Quella di Mario Draghi mi sembra una scelta giusta per tre motivi. Il primo è la sua preparazione tecnica (professore universitario, direttore generale del Tesoro, banchiere centrale). Il secondo è la sua esperienza, sia nazionale che internazionale. Il terzo è il contesto in cui ci troviamo, nel quale abbiamo particolare bisogno di quell’Europa da cui Draghi proviene». Il giurista Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, commenta così l'incarico conferito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all'ex capo della Bce, finalizzato alla formazione di un nuovo governo dopo le dimissioni di Giuseppe Conte, rassegnate il 26 gennaio scorso. Il capo dello Stato ha convocato Mario Draghi per affidargli l'incarico di guidare un governo «di alto profilo e che non debba identificarsi con alcuna formula politica». Una sconfitta per la politica? Al contrario, ritengo che sia un successo della politica. Quest’ultima non si esaurisce nelle posizioni delle “forze politiche”. La politica riguarda la società e vi contribuiscono tutte le forze sociali. Tra queste, ci sono anche le istituzioni, in primo luogo la Banca d’Italia, che è stata, nel secondo dopoguerra, un vivaio di grandi commessi, come dicono i francesi. Per comprendere l’attuale situazione, bisogna considerare almeno tre aspetti. In primo luogo, che chi è stato direttore generale del Tesoro per 10 anni, governatore della Banca d’Italia per 6 e governatore della Banca centrale europea per 8 anni non è certamente meno politico dei politici eletti e presenti in parlamento. In secondo luogo, che i partiti, rinunciando a fare i partiti-associazione e optando per il modello del partito-movimento hanno aperto la strada alla società civile e alle istituzioni. In terzo luogo, che le forze politiche, dopo aver aggirato in vari modi il Parlamento, non possono ora dichiararsi preoccupati perché Draghi non è un politico-parlamentare. Il presidente Mattarella ha rivolto un appello di unità «a tutte le forze politiche». E dal primo giro di consultazioni, quasi tutti i leader politici, da Zingaretti a Salvini, confermano il proprio appoggio a Draghi. Vi Ravvisa il rischio di una maggioranza eccessivamente eterogenea? Il presidente incaricato è la persona giusta sia perché la sua scelta conviene al Paese, sia perché appoggiarlo conviene a ciascuna delle forze politiche presenti in Parlamento. Mario Monti, in un articolo di qualche giorno fa sul Corriere della Sera ha dimostrato molto acutamente perché ai partiti conviene appoggiare Draghi. La convocazione di Draghi e la caduta di Conte rappresentano una vittoria della politica corsara di Matteo Renzi? Il professor Guido Melis ha elencato in questo modo i risultati dell’iniziativa di Renzi: ha messo in imbarazzo Salvini e Meloni, ha separato Forza Italia dalla destra estrema, ha dato una bella lezione ai “ricostruttori”, diviso il M5S (e l’ha costretto a fare quel che non voleva fare) e spinto il Pd a cambiare idea in una notte. Io aggiungo che ha impedito l’affermarsi del marginalismo in politica, cioè di dare la voce determinante alle briciole, ai “responsabili”. Conte argomenta, a posteriori, di aver forse sbagliato a dimettersi. A suo avviso, si possono individuare sue responsabilità stringenti riguardo l'innesco della crisi e i suoi attuali sviluppi? Doveva fare il “sarto”, e invece si è fatto prendere dai risentimenti e non è riuscito a “ricucire”. Dovrebbe leggere un bel libro appena uscito in Francia, della filosofa e psicanalista Cynthia Fleury, Ci-gît l’amer, guérir du ressentiment‪‬, Gallimard Parigi, 2020, in cui si spiega come guarire dai risentimenti. Questi non dovrebbero esser permessi ai politici. Corre il rischio, così, di fare la parte di Badoglio, invece che quella di Churchill.