I profili sono come i coccodrilli, in genere i giornali li hanno già pronti da tempo. Così è per il Presidente del Consiglio neoincaricato, Mario Draghi, i cui profili impazzano su ogni giornale: centoni che dicono più o meno le stesse cose. Qui interessa sottolineare due elementi che, a mio avviso, caratterizzano il personaggio: il primo è l’avere studiato dai gesuiti (non in collegio, ma in un liceo laico il Massimiliano Massimo di Roma, liceo per ricchi). I gesuiti sembrano avergli dato il loro inprint in termini di coerenza e pragmatismo, termini contraddittori solo per chi non sa guardare più in alto (nel caso dei gesuiti) e più avanti (nel caso di Draghi). Questo profumo di gesuitismo non poteva non colpire anche Papa Bergoglio, che infatti lo ha chiamato all’interno del board di un’importante istituzione vaticana, la Pontificia Accademia di Scienze Sociali (sociali, si badi, e non solo economiche). E c’è chi dice che sia proprio Draghi l’occulto consigliere del repulisti economico- finanziario in cui Bergoglio è da molto tempo impegnato, con alterni esiti, ma, speriamo, buone prospettive.

Il secondo elemento caratterizzante è l’essere stato allievo di Federico Caffè, il brillante economista misteriosamente scomparso, considerato il teorico introduttore in Italia delle politiche keynesiane, collaboratore del Manifesto, che ne ha curato anche l’edizione post mortem di alcuni scritti: strano connubio quello di un economista sostanzialmente liberal e di un quotidiano comunista all’epoca, ma proprio comunista che più comunista non si può. Fu lo stesso Caffè dopo la laurea ad affidarlo ad altro economista, Modigliani, dell’MIT di Boston, attento alla finanza sì, ma anche ai problemi sociali. E’ dunque questo doppio aspetto ( economia e finanza da una parte e attenzione ai problemi sociali dall’altra) che colpisce in Draghi, soprattutto quando sale al vertice della BCE. Per arginare l’Europa dall’assalto della speculazione finanziaria, in controcorrente col pensiero e le politiche allora come ancor oggi dominanti, non esitò ad attaccare l’austerity per immettere nuova moneta e pensare all’espansione dell’economia invece che alla contrazione del debito. Posizione diametralmente opposta a quella di Monti, vero e proprio Quintino Sella della “lésina”, costasse quel che costasse purché a pagare fossero i ceti meno abbienti.

Monti e Draghi sono ambedue passati per la banca d’affari Goldman Sachs: beh, nessuno è perfetto! Con la differenza che Draghi c’è giustappunto passato per pochissimo tempo, quando i danni peggiori erano già stati combinati, ma si è sbarazzato del controllo delle relative azioni in suo possesso non appena salì al vertice della Banca d’Italia. Anche lo stile ha la sua importanza.

Dunque abbiamo davanti un socialista liberal o un liberal di tendenze socialiste: merce rara in Italia, esponente di una cultura in cui forse pochi, ma fra i migliori potrebbero specchiarsi. Certo, vedremo come intende il suo “incarico istituzionale”: svincolato dal parlamento e dalla politica? O capace di misurarsi con essa senza cadere nelle bassezze cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Vogliamo essere ottimisti e augurarci che possa farcela e farcela bene: “whatever it takes”. Attenzione, però, caro Draghi, le imboscate sono all’ordine del giorno e i nemici tanti e si annidano anche laddove tu non pensi. E tu lo sai bene.