di Giorgio Coden Chissà perché quando leggo di Gratteri penso alla Boccassini. Un nesso dev'esserci, ancorché uno sia in attività e l'altra in pensione. Forse il mestiere di magistrato, le funzioni di pubblico ministero, forse perché entrambi da prima linea, entrambi tosti, entrambi catalizzatori di critiche. O, forse, si tratta di un accostamento che non dipende tanto dalle plurime convergenze professionali quanto da una netta dissomiglianza comportamentale: il rapporto con i media. Del dott. Nicola Gratteri, delle sue esternazioni alla stampa, delle sue apparizioni in tv sono pieni giornali e teleschermi, sicché altro non occorre dire se non che il troppo si commenta da sé. Una breve digressione sull'ultima delle maxi-retate curate dal procuratore di Catanzaro, però, è d'obbligo, perché presenta un paradosso gustoso. Partiamo da numeri e volti: in campo centinaia di agenti e carabinieri, coinvolte 81 persone, tra cui esponenti di spicco della n'drangheta crotonese, personaggi eccellenti, tipo notai, imprenditori, ma anche politici di primo piano a livello locale (un assessore regionale) e nazionale (un segretario di partito). A corredo, perquisizioni a tappeto dalla Calabria a Roma, sequestri milionari, carcere, arresti domiciliari e, ovviamente, conferenze stampa urbi et orbi. Insomma, un carico da novanta che ha fatto sobbalzare la penisola. Bene, come l'hanno chiamata questa po' po' di operazione ? “BASSO PROFILO”, anzi, “basso profilo” in minuscolo. Una svalutazione nominale dell'inchiesta piuttosto singolare, a metà strada tra umorismo british e marketing comunicativo. In ogni caso, se questo è il  metro in uso nella procura di Catanzaro, vien spontaneo chiedersi cosa mai deve succedere perché un'indagine venga insignita del grado 'alto profilo'. Sono convinto che gli avvocati penalisti di lungo corso, perlomeno quegli tra loro esperti in dinamiche mediatiche, hanno in serbo un prezioso suggerimento per il dott. Gratteri e per tutti i pubblici ministeri che s'imbattono in inchieste clamorose: guardatevi dall'enfasi autoreferenziale e dalla sovraesposizione mediatica, sono lusinghe infide che generano invidie, malignità e, spesso, reazioni interne che possono mettere a repentaglio anche quel che di buono abbia prodotto il lavoro inquisitorio. Suggerimento, certamente, improponibile alla dott. Ilda Boccassini, cui, semmai, si confaceva il consiglio contrario. Nella lunga attività di procuratrice e pubblico ministero, che l'ha vista impegnata da Milano a Palermo in inchieste di sostanza ed altrettanta risonanza, a nome della dr. Boccassini, salve le conferenze stampa di prammatica, non risultano interviste sui giornali e men che meno apparizioni in tv. Una discrezione ed un riserbo durati quanto la sua carriera e spesso praticati al limite dell'indisponenza, almeno stando alle critiche piovutele addosso dai cronisti di nera e dagli esponenti del foro che l'hanno incontrata. Oggi, dopo che sotto i ponti, in barba ai pressanti richiami alla moderazione lanciati ad ogni inaugurazione d'anno giudiziario, sono continuate a passare fiumane di inchieste spettacolo, di violazioni del segreto istruttorio, di processi a mezzo stampa, forse è il caso che il mondo della giustizia nel suo insieme riconosca di avere un debito verso la Boccassini, non per quello che ha fatto, su cui le opinioni inevitabilmente divergeranno a seconda del trattamento ricevuto, ma per quello che non ha fatto, quando, chiamandosi fuori dal circuito procure-stampa e rinunciando al protagonismo mediatico, ha indicato quale sia la condotta maestra che dovrebbero seguire, e non seguono, le procure della repubblica italiana.