Il dopo voto, per lo meno, ha il merito di aver portato rapidamente quella chiarezza che era mancata in mesi di “pre crisi”. Le strade possibili erano e sono quattro. Quella scelta dal governo passa per la raccolta, con ogni mezzo inclusi i più disdicevoli, di ogni voto reperibile in Senato, inclusi i più discutibili. Si chiama “Operazione Responsabili”, anche se il nome è stato poi modificato più volte per salvare la decenza apparente ed è fallita in Aula martedì scorso. I suddetti non si sono materializzati. Quota 161 è rimasta lontana. Conte ha detto chiaramente, anche al capo dello Stato, che sarebbero spuntati in seguito. Così non è stato e così probabilmente non sarà. Almeno non nella declinazione che per il Pd e per il Colle, ma non per il premier, è essenziale: cioè che si tratti di un gruppo politico e non di una Corte dei Miracoli riunita per caso. Strada chiusa. La seconda opzione, molto avversata da Conte e ufficialmente bocciata dal Pd, era un governo di unità nazionale. Tutti, nonostante le smentite, la hanno sempre considerata una possibilità destinata a rispuntare probabilmente al momento opportuno. I tre leader della destra, a colloquio con il capo dello Stato, la hanno esclusa con massima solennità, incluso Tajani, cioè il lader del partito più aperto al richiamo unitario, Forza Italia. Anche quella via è dunque al momento preclusa. Restano due strade sole La prima è una deriva verso le elezioni anticipate. È una strada percorribile e dicono che ai vertici del Pd non dispiacerebbe affatto. Ha un limite: è l'opzione più pericolosa che si possa immaginare. Le elezioni sotto pandemia costituiscono un rischio sanitario diprima grandezza. Il Recovery Plan, che già segna il passo con massima irritazione della Ue, sarebbe congelato per mesi. Le possibilità di ripresa si assottiglierebbero comunque, la credibilità del Paese in Europa precipiterebbe. Ma tutto questo è ancora il meno. La spina davvero acuminata è il rischio, e anzi la probabilità stando ai sondaggi, che le elezioni siano vinte dalla destra. In questo in una democrazia non c'è niente di male. Però sarebbe meglio evitare un simile terremoto, che metterebbe la Ue in rotta di collisione con l'Italia proprio nel momento in cui i buoni rapporti con la Ue sono più importanti. Bisognerebbe anche evitare il voto in un momento in cui una riforma costituzionale usata come moneta di scambio e una legge elettorale correttiva mai varata mettono il vincitore delle prossime elezioni, se ce la farà con un certo scarto, in condizione di imporre da solo il prossimo capo dello Stato. Il percorso elettorale non è sbarrato ma altamente sconsigliato. Non per tutti però. Giuseppe Conte dalle elezioni ha tutto da guadagnare. Nella situazione candidarlo a premier, sia pure a bocca storta, sarebbe obbligatorio per tutti Pd incluso. Il premier capitalizzerebbe il consenso di cui oggi gode o con un suo partito o come leader di fatto dei 5S. Uscirebbe dalla prova o con il ritorno a palazzo Chigi o nei panni di capo dell'opposizione e come premio di consolazione non è poco. La sola strada aperta è dunque quella di una ripresa dei rapporti con Renzi, trattandosi oltre tutto di un Renzi reso più malleabile dal fallimento del tentativo di disarcionare Conte e soprattutto dalla consapevolezza di non poter disporre a piacimento dei suoi senatori. Conte avrebbe buone probabilità di uscire dalla trattativa con la conferma a premier, anche se ridimensionato nell'esorbitante ruolo che ha assunto da un anno a questa parte. Non ne avrebbe la certezza, questo è vero ma chiedere garanzie assolute in politica è troppo per chiunque e dunque dovrebbe esserlo anche per l'avvocato Conte. Se la politica avesse il predominio questa via, essendo l'unica possibile, verrebbe battuta di certo. Ma la politica essendo invece tramontata è probabile, anzi quasi certo, che Conte cercherà di non imboccare nessuna di queste vie. Si limiterà a restare al proprio posto, pur se condannato all'impotenza, impugnando l'assenza di un voto di sfiducia che, almeno sino a quando si rischieranno le elezioni anticipate, cioè fino all'inizio del semestre bianco, non arriverà perché per i senatori la prima urgenza è proprio evitare il rischio di scioglimento della legislatura. Perché c'è sempre un'alternativa in più oltre a quelle delle diverse strade possibili. Non prenderne nessuna. Stare fermi. L'immobilità, che a Giuseppe Conte è spesso sembrata la soluzione migliore di tutte.