La puntata di Report del 4 gennaio scorso ha dato per certo l’avvenuta trattativa Stato-mafia, basandosi solo sull’esito del processo di primo grado. Nessun condizionale, nonostante l’esistenza di ben sei sentenze di tribunale che hanno anche decostruito la tesi sulla presunta trattativa Stato-mafia, condotta dagli ex ros Mario Mori e Giuseppe De Donno tramite l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Non solo. Nella medesima trasmissione, servizio pubblico della Rai, sono intervenuti i magistrati inquirenti rappresentanti l’accusa nel processo del quale si sta svolgendo il II° grado. Sono i punti principali che gli avvocati Basilio Milio e Francesco Romito, legali degli ex ufficiali dei Ros, hanno segnalato con un esposto inviato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini. al presidente della commissione parlamentare Antimafia,Nicola Morra, al presidente della commissione parlamentare per la Vigilanza dei servizi radiotelevisivi, Alberto Barachini, e al presidente della Rai Marcello Foa. Gli avvocati, nella segnalazione rivolta all’autorità, denunciano che il servizio è andato in onda infondendo certezze ai telespettatori, senza però mostrare i documenti che smentiscono alcune ricostruzioni date anche dai magistrati intervistati. Tutto ciò è avvenuto – si legge nell’esposto - «nonostante la Rai sia un ente assimilabile ad un'amministrazione pubblica in quanto - oltre a beneficiare della riscossione di un canone di abbonamento per la copertura dei costi del servizio pubblico, avente natura di imposta gravante su chi possiede apparecchi radiotelevisivi - è concessionaria ex lege dell'essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, che è previsto debba esser svolto nell'interesse generale della collettività nazionale per assicurare il pluralismo, la democraticità, l' imparzialità e la completezza dell'informazione». L’intervista a Claudio Martelli e ciò che, però, disse altrove Durante il servizio, il giornalista di Report chiede all’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli: «Quella trattativa fu un’iniziativa di polizia o un’iniziativa anche politica, con un mandante politico, mi faccia l’identikit?». Martelli risponde: «Io penso di sì. Il Presidente della Repubblica dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro». Gli avvocati Milio e Romito, fanno però presente che Report avrebbe dovuto mettere a conoscenza dei telespettatori i fatti cristallizzati nei processi. Ci sono le motivazioni della sentenza di assoluzione di Calogero Mannino, dove i giudici hanno ritenuto «probabile che gli ufficiali del Ros avessero informato di tale iniziativa anche Borsellino - che con Mori e De Donno aveva all’epoca un rapporto di assoluta ed esclusiva fiducia, tanto da chiedere di vederli, riservatamente, nei locali della Caserma dei Carabinieri e non in quelli della Procura, per parlare del rapporto “mafia-appalti” poco prima della sua uccisione - giacché quando il giudice ne era stato informato dalla Ferraro, non ne era rimasto affatto stupito, né contrariato, rispondendo alla dirigente degli Affari Penali del Ministero che andava bene e che se ne sarebbe occupato lui». I legali segnalano anche una intervista che lo stesso Martelli rilasciò a Il Tempo nel 2009. A domanda se «c’è stata questa trattativa tra lo Stato e la mafia?» ha affermato: «c’è stata nei termini, se mi aiuti a prendere Riina io ti do qualcosa in cambio, come avviene con i pentiti. Probabilmente i Ros offrirono qualcosa in cambio dell’arresto del capo dei capi, ma nulla di più. Penso che bisognerebbe abbandonare questa teoria, troppe cose non tornano, evitiamo di arrivare al punto in cui Riina si auto assolva per far ricadere le colpe sulle istituzioni». Pignatone: “Falcone aveva già scartato l’ipotesi Gladio” A Report è intervenuto anche Roberto Scarpinato, capo della procura generale di Palermo che rappresenta l’accusa nel processo attuale ancora in corso. Ad un certo punto, riferendosi all’omicidio Mattarella, dice: «Falcone giunge alla conclusione che non è stato ucciso da mafiosi ma è stato ucciso da due esponenti della destra eversiva, Cavallini e Fioravanti, gli stessi che sono coinvolti nella strage di Bologna. E da quel momento in poi comincia ad indirizzare la sua attenzione su Gladio». Si sussegue la voce narrante che dice: «l’indagine su Gladio rimase aperta». In questo modo, sottolineano gli avvocati, può indurre i telespettatori a pensare che in effetti Falcone non avrebbe fatto in tempo ad indagare su Gladio. Ma non è così. «Al riguardo – si legge nella segnalazione all’autorità -, anziché lasciare dubbi o sospetti, sarebbe stato doveroso informare telespettatori sulla base di atti pubblici, acquisiti, peraltro, dal predetto Procuratore presso il Csm, precisando che le indagini su Gladio vennero svolte ed esclusero coinvolgimenti negli omicidi politici». E infatti nei verbali c’è l’audizione del magistrato Giuseppe Pignatone che dice due cose fondamentali: una che Falcone era d’accordo con la requisitoria sull’omicidio Mattarella, due che su Gladio ci furono inizialmente dei contrasti sul come fare le indagini. «Noi – disse Pignatone al Csm - avevamo una preoccupazione diversa, dico noi perché su questo eravamo tutti d’ accordo». Alla domanda «Tutti chi?», rispose: «Giammanco, Sciacchitano, Scarpinato, Lo Forte ed io». Il Csm: «Anche Scarpinato?». Rispose sempre Pignatone: «Anche Scarpinato. Scarpinato, come al solito, era molto meno acceso nella discussione, Roberto è quello che è, però sostanzialmente era d’accordo su questa impostazione che partiva dal presupposto che l’indagine si dovesse fare». Poi Pignatone spiegò che alla fine Falcone svolse le indagini con lui. Conclusione? «Giovanni fece tutti gli accertamenti che ritenne, dopo di che fu chiaro che Gladio non c’entrava minimamente». In effetti, come Il Dubbio ha potuto riscontrare, nell’ultimo atto a firma di Falcone sull’omicidio Mattarella si legge che non ha trovato nulla che portasse alla pista Gladio, tranne che rinvenire un appunto dei servizi concernente uno dei presunti killer di Mattarella, ma palesemente estraneo ai fatti. Subranni, falange armatae protocollo farfalla A Report è intervenuto anche Nino Di Matteo dicendo che Paolo Borsellino parlò in termini estremamente negativi e con un atteggiamento che la signora Agnese definisce sconvolto del suo ex amico generale Antonio Subranni. I legali di Mori e De Donno segnalano che Report avrebbe dovuto – per questioni di imparzialità nei confronti dei telespettatori - riportare fedelmente le parole di Agnese dove si evince tutt’altra interpretazione. Aggiungendo anche altre testimonianze. A partire dai verbali al Csm dove emerge che nell’ultima riunione a cinque giorni dalla strage di Via D’Amelio, Borsellino si è fatto portavoce delle lamentele dei Ros circa la conduzione del procedimento mafia-appalti. Report ha intervistato anche il magistrato Roberto Tartaglia, attuale vice capo del Dap, che dà per certo che la Falange armata sia espressione dei servizi segreti. Ma gli avvocati spiegano che Report, per completezza di informazioni, avrebbe dovuto citare il provvedimento del giudice Monteleone dove – attraverso indagini – ha smentito tale ricostruzione. Così come il Protocollo farfalla, operazione di intelligence che nulla ha che vedere con la presunta trattativa. Anzi, come ha scritto il Copasir, era volto a scovare una regia mafiosa dietro le proteste contro il 41 bis. Operazione, tra l’altro, fallimentare.