La recente puntata della trasmissione “Report”, in onda sulla terza rete del servizio pubblico radiotelevisivo, ha dedicato un ampio e per certi versi drammatico servizio all’annoso tema della cosiddetta “Trattativa” tra lo Stato ( latamente e anzi confusamente inteso) e la mafia. Pezzi - diciamo così- delle istituzioni ( ah, non più Calogero Mannino, però) avrebbero intavolato con la mafia stragista dei primi anni ’ 90 una inconfessabile trattativa, volta a scambiare il fermo dell’attività stragista mafiosa con benefici penitenziari e forse anche investigativi ( latitanze protette eccetera) per i boss di Cosa nostra. Non sono mai riuscito ad appassionarmi a questa storia, come sempre mi accade appena si materializzano in tv sedicenti testimoni di inconfessabili e fino a quel momento inconfessati misteri, travisati nel viso e nella voce. Ho sempre pensato, e penso tutt’ora, che se qualcuno ha qualche gravissimo fatto da raccontare, non lo fa travestito e travisato in favore di telecamera, ma in un ufficio di Procura e poi - soprattutto- in un’aula di Tribunale per essere controesaminato dai difensori di coloro che egli accusa, perché né la storia, né tantomeno i processi si fanno sulla base dei soliloqui di chicchessia. Ho poi letto forti e argomentate critiche sul merito di quanto ricostruito in quel servizio, e mi sono parse talmente serie e articolate ( a partire dalla evocazione dei drastici e sprezzanti giudizi che di quelle fantasiose ipotesi avevano espresso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) da meritare repliche di equivalente livello, delle quali tuttavia, al momento, non leggo traccia. D’altronde, anche a me sembra utile diffidare di narrazioni secondo le quali chi ha arrestato Totò Riina e disvelato il grande tema degli appalti pubblici in favore della mafia finisce sotterrato da anni di carcere, e la mafia palermitana viene ridotta a manovalanza di Berlusconi e Dell’Utri, i veri strateghi di questa Spectre stragista di non meglio individuata matrice. Ognuno la pensi come crede, ma non è questo lo scandalo, il vero scandalo di quella trasmissione. Perché si dà il caso che la puntata di Report va in onda mentre è in corso a Palermo il processo di appello sulla medesima “trattativa”, a carico di imputati già gravati in primo grado da anni di carcere per un reato - come ci spiegò in modo magistrale il professor Giovanni Fiandaca- di almeno dubbia configurabilità tecnica ( e non dimentichiamo che i giudici del rito abbreviato scelto dal coimputato Mannino, definitivamente assolvendolo, hanno invece definito quella accusa ab origine “logicamente incongrua”).

Ora, se non si può impedire a una testata privata di fare le inchieste che crede, sostenere tesi colpevoliste a oltranza e magari organizzare campagne di opinione a sostegno di quell’accusa (“logicamente incongrua”, ma ognuno è libero di pensare come crede), questo non può accadere in una trasmissione del servizio pubblico. Non può accadere che chi per legge è tenuto alla “completezza ed imparzialità” della informazione, e riceve uno stipendio finanziato dal canone di abbonamento pagato anche dagli imputati di quel processo, imbastisca una puntata del genere, a dir poco sbilanciata a sostegno della tesi accusatoria, mentre il processo è in corso e una giuria popolare è chiamata a pronunciarsi. Il servizio pubblico non può scegliere, peraltro, di impostare tutto su una tesi precostituita, raccogliendo testimonianze di pentiti di almeno dubbia credibilità, insieme alle opinioni dei magistrati della Procura generale di Palermo e del Csm che ambiscono da quel processo la conferma del proprio controverso lavoro di inquirenti. È semplicemente una vergogna, devo infine aggiungere, che questi giornalisti - non a caso magnificati il giorno successivo dalle colonne del Fatto Quotidiano- oltre a non avvertire la gravissima inopportunità di un simile servizio in pendenza del giudizio penale, non abbiano ritenuto indispensabile dare il medesimo spazio alla prospettazione difensiva e alla ricostruzione critica di una narrazione d’altronde già demolita, in una parte assolutamente essenziale, da una sentenza definitiva di assoluzione. Il servizio pubblico radiotelevisivo dovrebbe solo raccontarli, i processi, non celebrarseli per suo conto, per di più senza la fastidiosa presenza dei difensori, ma in rigorosa ed esclusiva compagnia di pentiti e pubblici ministeri. O mi sbaglio?

*Presidente dell'Unione Camere penali italiane