«È chiaramente interesse generale che chiunque desideri consultare un avvocato sia libero di farlo a condizioni che favoriscano una discussione piena e disinibita e che è per questo motivo che il rapporto avvocato- cliente è, in linea di principio, privilegiato». Quello evidenziato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza pronunciata il 17 dicembre scorso è un principio fondamentale: le conversazioni tra avvocato e cliente sono inviolabili e tale inviolabilità è garanzia del diritto di difesa. Ed è proprio per tale motivo che i Paesi hanno il dovere di avere norme chiare a tutela di tali diritti. L’occasione per ribadire il principio è arrivata dal caso di un cittadino norvegese, che aveva citato il governo per una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, quello che tutela la corrispondenza. E la Corte, nel proprio giudizio - pronunciato con il voto favorevole di sei giudici contro uno - ha valutato come insufficienti le norme norvegesi per proteggere il segreto professionale il rapporto privilegiato da difensore e cliente.

Le motivazioni di tale decisione arrivano proprio mentre in Italia si riaccende il dibattito sulla segretezza delle conversazioni tra avvocati e assistiti, alla luce di diversi fatti di cronaca che evidenziano quella che per molti professionisti appare come una grave lesione del diritto di difesa. Al punto che l’avvocato Nicola Canestrini, del foro di Rovereto, ha deciso di rivolgersi in prima persona alla Cedu, contestando il meccanismo della verifica postuma del rispetto dei limiti legali, in quanto consente comunque «alla polizia giudiziaria ed al pubblico ministero di apprendere notizie sulla strategia difensiva».

La vicenda valutata dai giudici di Strasburgo riguarda il sequestro, da parte della polizia, dello smartphone di un cittadino norvegese, con lo scopo di far luce su possibili contrasti tra l’uomo e i due sospettati. In quel telefono, però, erano contenuti anche messaggi e mail che l’uomo aveva scambiato con due avvocati, suoi difensori in un procedimento penale che lo vedeva imputato e conclusosi con la sua assoluzione nel 2019. La controversia davanti al tribunale di Oslo si era conclusa con la rassicurazione che l’autorità giudiziaria avrebbe verificato i dati, eliminando quelli protetti da privilegio professionale prima di estrarre copia informatica di quanto fosse sullo smartphone. Una “promessa” rimasta, però, disattesa. Da qui il ricorso, lamentando la violazione dell'articolo 8 della Convenzione, secondo cui «ognuno ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, della propria casa e della propria corrispondenza».

Lo stesso governo ha ammesso che la perquisizione e il sequestro dello smartphone abbiano rappresentato «un'interferenza» con tale diritto. E per la Corte tale ingerenza è «pacifica» : «Nel contesto delle perquisizioni e dei sequestri - si legge nella decisione -, il diritto interno deve fornire una certa protezione all'individuo contro interferenze arbitrarie con i diritti dell'articolo 8. Pertanto, il diritto interno deve essere sufficientemente chiaro nei suoi termini per fornire ai cittadini un'indicazione adeguata delle circostanze e delle condizioni in base alle quali le autorità pubbliche sono autorizzate a ricorrere a tali misure. Inoltre, perquisizione e sequestro rappresentano una seria interferenza con la vita privata, la casa e la corrispondenza e devono pertanto essere basati su una “legge” particolarmente precisa. È essenziale disporre di regole chiare e dettagliate sull'argomento».

La Corte ha anche evidenziato che il segreto professionale è alla base del rapporto di fiducia esistente tra un avvocato e il suo cliente e che la tutela del segreto professionale è, in particolare, «il corollario del diritto del cliente di un avvocato di non autoincriminarsi, il che presuppone che le autorità cerchino di dimostrare il loro caso senza ricorrere a prove ottenute attraverso metodi di coercizione o oppressione in barba alla volontà della ' persona accusata'». Principi ribaditi anche dall’unico giudice che ha espresso parere contrario, in quanto, a suo dire, «un'assoluzione rende obsoleta qualsiasi violazione dei diritti della difesa, inclusa la violazione del privilegio avvocato- cliente». Nonostante questa convinzione, la riservatezza delle comunicazioni tra avvocato e cliente, evidenzia il giudice, rappresenta «un'importante salvaguardia del diritto di difendersi. Il privilegio avvocato- cliente tutela l'integrità stessa della rappresentanza legale. Questo privilegio ha una ' logica dello stato di diritto' e il diritto alla riservatezza tra avvocato e cliente è implicito nei diritti a un processo equo e alla rappresentanza legale». Insomma, tale segretezza è necessaria per garantire l'effettività del diritto alla rappresentanza legale, in quanto incoraggia una comunicazione aperta e onesta tra clienti e avvocati. «Chiunque desideri consultare un avvocato dovrebbe essere libero di farlo in condizioni che favoriscano una discussione piena e disinibita. Per questo motivo, il rapporto avvocato- cliente è, in linea di principio, privilegiato - continua il parere -. In effetti, se un avvocato non fosse in grado di conferire con il suo cliente senza tale sorveglianza e ricevere istruzioni riservate da lui, la sua assistenza perderebbe gran parte della sua utilità». La segretezza, infatti, evita il rischio che il filtraggio delle informazioni «possa essere effettuato con l'intento di consentire alla polizia di reperire prove da utilizzare nel processo contro di lui».