Partiamo dalle cose personali. Che poi riguardano anche il Paese, e insomma ci siamo capiti. Dunque quel trolley è sempre lì, pronto come l’ombrello se piove: possiamo stare tranquilli? Seppur al telefono, il sorriso di Carlo Cottarelli fa capolino lo stesso: «Il trolley è sempre pronto. Ma non servirà, Conte va avanti, non cade». Ok, se lo dice lei... Veniamo alle questioni generali. Lei una “visione”, un progetto per l’Italia nel piano Recovery l’ha visto? E qual è? Certo che c’è. Usare capitali economici e umani per favorire la crescita. L’idea è non di usare questi 209 miliardi per distribuire risorse un po’ qua e un po’ là. Piuttosto facciamo investimenti per determinare lo sviluppo e aumentare la produttività. È sufficiente per svegliare la Bella Addormentata, come lei ha definito l’Italia, oppure ci vuole anche qualche schiaffone? In termini generali, sì. Poi bisogna andare a vedere alcune cose essenziali che mancano. Per esempio la riduzione della burocrazia. Nel Piano si parla di miglioramento della Pubblica amministrazione ma prevalentemente in termini di digitalizzazione. Manca ciò che a mio avviso è una parte fondamentale: ridurre la burocrazia. Cioè meno regole, meno moduli da compilare, meno enti da consultare quando c’è bisogno di un permesso. E poi meccanismi incentivanti che premino chi si comporta bene. Con misurazione degli obiettivi e indicatori seri e non come quelli finora usati. Ecco però: sviluppare la Pa vuol dire spossessarla del suo ruolo, con una governance diciamo così, “esterna”? Al contrario. Non bisogna sostituire la Pubblica amministrazione: bisogna farla funzionare. Ho criticato la possibilità di strutture, appunto, parallele. Se c’è un ministro che non sa fare il suo mestiere, che è troppo lento, lo si manda via: non lo si affianca o addirittura sostituisce con un Commissario. Nel suo ultimo discorso, la presidente von Der Lyen ha sollecitato l’Italia a intervenire in due settori: uno, la sburocratizzazione; due, la giustizia. E allora? E allora di positivo c’è che nel Piano Recovery si dà uguale rilievo alla riforma della giustizia rispetto agli altri capitoli. È un fatto importante. Mi ha tuttavia deluso il fatto che si dice che tutto ciò che occorre in termini di cambiamento è già stato inviato alle Camere. Non sono un esperto, ma vedo la questione della giustizia al pari di far funzionare un’azienda in tempi ragionevoli. Da noi l’azienda giustizia non funziona così. Ho lavorato con giuristi autorevoli e conosciuti i quali ritengono che la riforma della giustizia civile inoltrata al Parlamento è troppo debole. Specie se affiancata alla giustizia penale per cui nessun funzionario firma più una autorizzazione nell’incubo di venir indagato... Quello, appunto, è il versante penale. La giustizia civile ha un impatto determinante sugli investimenti privati. Lei ha appena citato il Parlamento. Ecco, l’ultima notizia è che governo e maggioranza vorrebbero “parlamentarizzare” il Recovery. È d’accordo? Dobbiamo intenderci. Il Recovery plan è un insieme di interventi che tipicamente prevedono l’intervento del Parlamento. Messa così, è un’ovvietà oppure solamente uno slogan. C’è un potere legislativo, che appartiene alle Camere e uno esecutivo che appartiene al governo. Dire che i poteri in una democrazia si devono parlare è come scoprire l’acqua calda. Scusi, una precisazione. In qualche suo articolo lei ha detto di augurarsi che l’Italia resti un sistema di mercato. Teme forse un rigurgito statalista? Che i soldi europei siano usati per ampliare la presenza dello Stato nell’economia? Io ho detto che una cosa di cui non si parla per niente nel Piano è il meccanismo della concorrenza. Non si tratta di essere fanatici di liberalizzazioni generalizzate o totalizzanti. Figuriamoci: ho sempre pensato, e continuo a farlo, che la Pubblica istruzione deve essere e rimanere pubblica. Idem la Sanità, e così via. Però che non si parli più di liberalizzazioni quando il tema è ancora valido... Pensiamo alle concessioni per le spiagge. Abbiamo prolungato di dieci anni queste concessioni perché non si possono più far gare. Ecco: forse in un sistema in cui vogliamo mantenere la dimensione di mercato, che ci sia effettiva concorrenza e non si formino poteri monopolistici è un bene. Penso non solo all’Italia, ma al mondo. Perché quando si parla di concorrenza mi riferisco anche alle mega corporation americane. Che il capitolo sia scomparso, come dire: mi sembra strano. P rofessor Cottarelli, a fine anno - come lei stesso ha rilevato - avremo il 160 per cento di debito sul Pil. Superando il record dei decenni prima del primo conflitto mondiale. Facciamo debito e lo dovranno pagare le generazioni future. Sicuro che sia la strada giusta? O non camminiamo sul ciglio dell’insolvenza? Beh, però è vero che in questa fase il debito che stiamo accumulando quest’anno e il prossimo non è un debito non nei confronti dei mercati bensì delle istituzioni europee. Per questo mi sento un po’ meno preoccupato. Poi c’è chi dice che i tassi di interesse rimarranno bassi per tutto il secolo... Anche questo, se è vero, contribuisce a sminuire la preoccupazione. Fatto sta che i rischi rimangono, pur se attenuati. I mercati sono relativamente tranquilli però hanno la tendenza a cambiare rapidamente orizzonte. Effettivamente non c’è altro da fare. Io non sono uno di quelli che dicono: il rischio non c’è, è svanito, facciamo deficit. Il rischio permane pur se meno forte di altri momenti. Il punto è: non esagerare ed evitare che il debito sia “cattivo” come ha detto Mario Draghi. Se butti i soldi per strada qualcuno li raccoglie e poi li spende: nell’immediato anche lo spreco può diventare spesa. Ma è un atteggiamento che taglia via il futuro. Il contrario di ciò che serve all’Italia.