Primo: intendersi sugli obiettivi. «L’avvocatura istituzionale ne ha uno: promuovere una figura di avvocato il più consapevole e motivato possibile. Un avvocato», spiega la presidente del Cnf Maria Masi, «aggiornato rispetto alle esigenze di modernizzazione della professione, sul cui concetto, però, bisognerà intendersi. La riforma dell’accesso alla professione di avvocato non può essere circoscritta né esaurirsi nella modifica delle modalità dell’esame di abilitazione, che rappresenta non la prima ma l’ultima fase di un percorso di formazione e di indirizzo professionale nell’accezione pura. Il legislatore», dice ancora Masi, «deve avere inoltre lo sguardo ben rivolto alla realtà dell’avvocatura, profondamente cambiata nel corso degli ultimi anni e adesso provata da difficoltà oggettive anche di natura economica.

Ecco, se teniamo conto della premessa appena richiamata, credo sia più facile comprendere perché il Cnf, sentito in audizione alla Camera, abbia espresso una valutazione non favorevole sulle proposte di legge incardinate in commissione Giustizia e finalizzate a rivedere l’esame di accesso alla professione forense. «Naturalmente», ricorda la presidente del Cnf, «non si sottovaluta affatto come la tragedia dell’emergenza sanitaria e sociale provocata dal covid imponga di cogliere con la dovuta prontezza anche le occasioni di cambiamento ma senza correre il rischio di pregiudicare il conseguimento di un obiettivo».

Partiamo dalle premesse per comprendere i dettagli: a che punto è il tavolo con il ministero?

Con i ministeri: si deve usare il plurale. Il ruolo del Miur è essenziale. Al Tavolo tecnico riunito dal guardasigilli Bonafede lo scorso mese di ottobre siede, è bene ricordarlo, anche il dicastero dell’Università. Come Cnf rivendichiamo il merito di aver sollecitato l’avvio di quel tavolo tecnico, a cui parteciperemo avendo cura di condividere con le altre componenti dell’avvocatura una proposta che tenga conto delle esigenze rinnovate ma soprattutto degli obiettivi. L’ulteriore differimento, di due anni, dell’entrata in vigore del nuovo, o forse sarebbe meglio dire vecchio regime relativo all’esame di abilitazione e alla obbligatorietà dei corsi di formazione organizzati dalle scuole forensi, doveva e dovrà costituire occasione per valutare e consentire la revisione complessiva della disciplina.

Che tipo di riforma proporrà il tavolo?

L’obiettivo è rivedere appunto l’accesso alla professione a partire dal corso di laurea. È giusto che si abbia tempo e modo di orientare il proprio percorso di studi verso la professione che si intende svolgere. L’università deve essere in grado di fornire gli strumenti necessari e non solo teorici indispensabili per un corretto, equilibrato e soprattutto consapevole approccio al tirocinio prima e alla professione poi. Il rischio di un ulteriore quanto ingiustificato ridimensionamento della figura di avvocato è alto se si considera possibile prescindere da una formazione adeguata, da competenze multidisciplinari e soprattutto dalla cultura in senso ampio.

C’è il rischio che la professione forense diventi una sorta di rimedio temporaneo, per i giovani?

Più che un rischio è una condizione di limbo in cui sono “costretti” molti giovani avvocati, ed è una delle ragioni per cui si rende necessaria la riforma.

Con quale ruolo, per le scuole forensi?

Gli Ordini e in particolare le scuole forensi erano e sono pronti, motivo per cui avevamo chiesto di poter incentivare comunque il loro ruolo nella formazione e nell’azione, conforme allo spirito della legge professionale, di fare ponte fra la formazione universitaria e quella “professionalizzante” del tirocinio.

Altro nodo emerso in audizione: il compenso per il praticante.

La corresponsione di un’indennità o di un compenso per il praticante avvocato è già prevista dall’articolo 41 comma 11 della legge 247 del 12, e come tale suscettibile di “revisione” in un’ottica che tenga conto di tutte le variabili e di tutte le prerogative non solo del praticante ma anche del dominus e dell’attività che si svolge. La formula contenuta nella proposta di legge in esame non sembra assolvere però l’esigenza di garantire la natura del rapporto, che è e rimane peculiare.

Alcune ipotesi dei ddl all’esame della Camera, come il divieto di avere praticanti per chi è destinatario di un procedimento disciplinare non concluso o addirittura per chi riceve segnalazioni negative anche anonime, attestano un disprezzo nei confronti dell’avvocato?

Non disprezzo ma sicuramente una considerazione “viziata” che sinceramente non è condivisibile. Chi ha la voglia e la motivazione forte a svolgere la professione forense, ha necessariamente un’alta concezione del ruolo che l’avvocato assume nella società. Non può che essere così. Si deve partire, fin dall’università, dal rilievo costituzionale che spetta all’avvocatura.

Nell’immediato c’è da definire lo svolgimento dell’esame 2020: come si farà?

Abbiamo dato piena disponibilità al ministro della Giustizia, che deve definire modalità e tempi degli scritti 2020, per una soluzione che assicuri il miglior equilibrio possibile fra la tutela della salute e il sacrosanto diritto di chi ha compiuto la pratica, come di coloro che la compiranno nei prossimi mesi. Abbiamo chiesto di dare priorità a una più ampia delocalizzazione delle sedi per gli scritti. Ripeto: il Cnf è attento e vigile alla tutela dei praticanti avvocati e ai loro diritti. Nel loro interesse e di tutti intende promuovere una riforma seria, non affrettata, dell’accesso alla professione forense, che assume oggi un rilievo strategico nella definizione dell’avvocatura in un tempo di grandi cambiamenti come quello che stiamo vivendo.