In Italia esiste una disparità di trattamento, tra il soggetto che ha fatto ricorso alla Corte europea di Strasburgo (Cedu) e chi alla Corte nazionale. Questa situazione, ora, viene ulteriormente cristallizzata con il ricorso ritenuto ammissibile dalla Corte Europea presentato dall’ex senatore democristiano Vincenzo Inzerillo, assistito dall’avvocato Stefano Giordano. Ma andiamo con ordine.

Fino al ’94 non esisteva il concorso esterno in associazione mafiosa, quindi non può esserci una condanna se l’accusa risale a fatti antecedenti di quell’anno. Un principio che la Cedu ha riconosciuto a l’ex 007 Bruno Contrada. Teoricamente, ciò deve valere per tutti coloro che sono stati condannati per i fatti antecedenti, appunto, al 1994. Parliamo dei cosiddetti “fratelli minori” di Contrada che però, puntualmente, la Cassazione non riconosce. Eppure la Corte Europea, il 14 aprile del 2015, aveva stabilito che la sentenza è legittima solo per fatti commessi dopo il 1994.

Lo ha stabilito certamente per Contrada, ma ha identificato un deficit sistemico nell’ordinamento: fino a quel momento il reato non era infatti, per la Corte, configurato in modo sufficientemente chiaro. Un principio che riguarda proprio quella “certezza della pena” che oggi però viene citata confondendolo con altro. La pena è certa quando il cittadino che tiene una certa condotta sa se essa costituisce reato oppure no, e in caso positivo quali sono le sanzioni previste.

Con le pronunce della Cassazione nei confronti dei “fratelli minori”, si è cercato di annullare le conseguenze che la pronuncia Contrada avrebbe avuto nel sistema ( di fatto, una sentenza “pilota”), perché si sarebbero dovute revocare tutte le sentenze di quelli che, pur non avendo fatto ricorso a Strasburgo, erano comunque nelle stesse condizioni di Contrada.

Ma nulla da fare. Per questo sono fioccati numerosi ricorsi alla Cedu. Ma ora è arrivata la prima conferma. La Cedu ha ritenuto ricevibile il ricorso presentato dall’ex senatore dell’ex Dc Vincenzo Inzerillo, assistito dall’avvocato Stefano Giordano, lo stesso legale – ricordiamo – che ha fatto annullare la condanna a Contrada ed è riuscito ad ottenere anche un risarcimento di 667 mila euro a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione.

Nel ricorso di Inzerillo – condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti antecedenti al 1994 -, si fa presente che ci sono state diverse violazioni degli articoli della Cedu. Come ad esempio l’articolo 46 e 32, perché – come scrive l’avvocato Giordano nel ricorso - «dall’inestensibilità degli effetti della sentenza Contrada deriva l’assenza di un rimedio interno idoneo a far valere la violazione convenzionale patita e ottenere l’eliminazione delle relative conseguenze». C’è anche la lesione dell’articolo 7 Cedu «in relazione all’assenza di prevedibilità e accessibilità del precetto penale che ha condotto alla sua condanna, al fine di conseguire l’eliminazione di quest’ultima». Ma non solo. Altro aspetto degno di nota del ricorso è che si fa un riferimento alla presunta mancata imparzialità di due magistrati membri del collegio delle sezioni unite della Cassazione che ha dichiarato infondato il ricorso di Inzerillo. Perché? Si legge sempre nel ricorso alla Cedu che un magistrato era stato membro del collegio che emise ( in sede di rinvio) la sentenza di condanna a carico di Contrada, l’altro avrebbe invece scritto un libro di diritto penale dove in un capitolo ha criticato la sentenza Cedu “contrada c. Italia”. Quindi, secondo l’avvocato Giordano, ci sarebbe stata la violazione dell’articolo 6 della convenzione, perché privi del requisito di imparzialità. In effetti si fa riferimento a diverse sentenze Cedu dove si evince che «l’imparzialità viene infatti esclusa se il giudice sia portatore di un pregiudizio personale, manifestato anche attraverso dichiarazioni rese fuori dal processo». Il ricorso è ammissibile, ora si attende la sentenza.