https://youtu.be/dm2vcS9dMnQ «Eravamo un gruppo di 16 eritrei. Appena arrivati in Italia, la polizia ci ha promesso che ci avrebbe lasciato fare la richiesta di asilo. Poi invece ci hanno portato oltre il confine, ci hanno picchiato e ci hanno consegnato alla polizia slovena. Che ci ha dato a quella croata. Che ci ha scaricato nuovamente qua in Bosnia». Tra le vie di Bihać, nel cantone di Una Sana, in Bosnia Erzegovina, al confine con la Croazia, di storie come quella di Enoch se ne incontrano tante. Qui, in un limbo infernale tra Bosnia ed Europa, centinaia di migranti ogni giorno si preparano a provare il “game”, il passaggio della frontiera verso l’Unione Europea. Sono quasi tutti “single man”, giovani uomini che viaggiano da soli, senza famiglia, senza affetti. Si caricano zaini da 20 chili sulle spalle, comprano frutta ed energy drink nell’unico supermercato di Bihać che permette loro di entrare e aspettano la notte per avventurarsi nei boschi. Basta alzare gli occhi verso nord per intravedere il sentiero che segna il confine, quella montagna croata calpestata da migliaia e migliaia di migranti che tentano di raggiungere “l’Occidente ricco”. Se nel Mediterraneo i barconi hanno smesso di viaggiare durante il periodo del lockdown, sulla rotta balcanica il flusso dei migranti non si è mai fermato. La pandemia da Covid-19, però, ha esasperato una situazione già al limite. I campi ufficiali che accolgono profughi sono stati chiusi a nuovi ingressi, ma le persone in arrivo da Turchia, Grecia, Macedonia e Serbia non hanno mai smesso di raggiungere Bihać e provare il “game”. E così si sono moltiplicati campi improvvisati, gli “squat”, scheletri fatiscenti di vecchie fabbriche sovietiche. Negli ultimi tempi, poi, i migranti subiscono incursioni notturne della polizia bosniaca in cui vengono malmenati e cacciati via. “Qui la polizia è diventata come quella croata”, denunciano senza sosta. Alla violenza in Bosnia si somma la situazione al confine, con i respingimenti perpetrati dalla polizia croata, slovena e italiana. “Riammissioni”, le chiama la polizia italiana. “Deportazioni”, ripetono le vittime. L’Italia respinge senza alcun criterio molti dei migranti che arrivano via terra, consegnandoli direttamente alla polizia slovena, nella consapevolezza che verranno picchiati e derubati. “Poi vengono consegnati a quella croata, che li abbandona al di là del confine con la Bosnia, in un push back continuo”, racconta Silvia Maraone, project manager di Ipsia che opera a Bihać. “Insieme ad altre associazioni stiamo raccogliendo le testimonianze dei migranti respinti per denunciare il governo italiano e quello sloveno”, spiega ancora. Mentre la rotta balcanica viene invisibilizzata da certa propaganda, la politica di governo pratica azioni illegali discriminatorie nei confronti dei migranti che arrivano via terra. Lorem ipsum, collettivo di giornalisti