Per Matteo Bassetti, Direttore della Clinica Malattie Infettive dell'Ospedale San Martino di Genova, al momento non esiste una emergenza sanitaria ospedaliera, ce lo dicono i numeri. Possiamo invece dire di star vivendo la coda della prima ondata di covid.

Cosa ne pensa della proposta del Premier Conte di voler prorogare lo stato di emergenza al 31 gennaio 2021?

Se prolungare lo stato di emergenza vuol dire aiutare il sistema sanitario ad avere più medici, più infermieri, più apparecchiature, più farmaci allora ben venga la proroga. Tuttavia deve essere molto chiaro che la decisione di decretare lo stato di emergenza è presa per consentire al sistema italiano di rendere in qualche modo più facile prevedere assunzioni ed acquisti. Assumere ad esempio un medico in assenza di uno stato di emergenza significherebbe dover passare per le forche caudine, ossia per tempi lunghissimi che non sarebbero in grado di metterci nelle condizioni di poter affrontare un aumento dei contagi. Se invece la ragione è quella di voler dire che siamo realmente in una situazione di emergenza sanitaria ospedaliera allora non sono d’accordo: ad oggi la situazione è ben diversa da quella che abbiamo vissuto a marzo e aprile.

Lei come interpreta questa situazione?

Non siamo in presenza di un mare calmo come a luglio ed agosto, si è increspato, agitato ma non siamo davanti allo tsunami vissuto nella primavera scorsa.

Pertanto i dati di questi giorni sono in linea con quanto previsto?

Direi di sì. Più che di seconda ondata parlerei di coda della prima ondata che si è rialzata portando un gran numero di contagiati asintomatici o poco sintomatici. La percentuale di ricoveri sul totale dei contagiati è comunque sempre circa del 5% e quelli in terapia intensiva intorno allo 0,5%. Parliamo di una fettina piccola anche se indubbiamente oggi gli ospedali hanno dovuto riattrezzare i reparti covid e una circolazione della malattia è più alta rispetto all’estate. D’altronde facendo così tanti tamponi – circa 110.000 al giorno – è normale trovarsi ogni giorno con il 2% di positivi. Questi 2000 positivi pongono un problema anche di tipo gestionale perché devono essere isolati; se qualcuno non ha una casa dove essere isolato che soluzione alternativa c’è? L’ospedale, e quindi soprattutto le persone anziane devono essere curate lì perché hanno già patologie pregresse. Tutto ciò alla fine riesce a creare una pressione sul Sistema Sanitario Nazionale pur non avendo casi così imponenti come a marzo e aprile, quando su 100 positivi 30 avevano bisogno di andare in ospedale, 15 in rianimazione.

Cosa ne pensa dei test rapidi a scuola?

Possono avere un senso nel momento in cui occorre capire subito, in pochi minuti e sul posto dove viene effettuato, se uno studente sintomatico è affetto da covid. Attenzione però perché sappiamo che il test rapido può avere dei falsi negativi. Ma bisognerebbe avere le persone che li fanno i test: io insisto da molto tempo, come l’amico Galli, che si sarebbe dovuto investire anche in medicina scolastica. Ci vorrebbe un medico per farli ed interpretarli.

E dei protocolli sui calciatori?

Secondo me il calcio sta vivendo il covid su un binario separato rispetto al resto del mondo. Ci si assume un rischio che però è controllato. È evidente che il protocollo, come quello che si è visto con il Genoa, in qualche modo ha bucato: c’è stato il caso di un giocatore positivo, dopo tre giorni dall’individuazione si è comunque giocata una partita durante la quale probabilmente alcuni giocatori, nonostante avessero un tampone negativo, erano positivi. Questo perché il tampone ci fornisce una fotografia istantanea: quello che è vero oggi, potrebbe non esserlo domani. Questi test vanno bene se fatti in maniera dinamica.

D’accordo a riaprire gli stadi al pubblico?

Credo che mille persone in uno stadio da ottantamila posti non diano problemi. La Germania ha elaborato un protocollo a parer mio molto valido e non mi pare che abbiano avuto un incremento dei casi ospedalizzati, eppure la capienza mi risulta essere tra un quarto e un quinto di quella totale: basta separare gli accessi e le uscite dallo stadio e saper modulare le postazioni, rispettando il distanziamento con l’uso della mascherina. Ci si può ragionare anche qui in Italia ma tutto sta a considerare quali siano le priorità del nostro Paese.

Quali?

Lavoro, scuola e salute: questi tre settori devono essere mantenuti nella massima sicurezza. Il calcio, se si riesce a farlo con gli sforzi condivisi, va bene ma altrimenti non rappresenta una priorità.