«Sarebbe assurdo che l’Europa e il Parlamento europeo, che giustamente denunciano la violazione dei diritti umani in Turchia, in Egitto, in Bielorussia, non sanzionino gli stati dell’Ue che violano i princìpi base della democrazia ». L’ex sindaco di Milano e attuale eurodeputato del Pd Giuliano Pisapia non ha dubbi: sulla violazione dello stato di diritto non si tratta. Polonia e Ungheria vanno sanzionate per i loro provvedimenti liberticidi.

Onorevole, dunque, è giusto vincolare le risorse del Recovery fund al rispetto dei diritti rischiando di far saltare il banco degli aiuti europei?

Non solo è giusto. È, o dovrebbe essere, doveroso oltre che sacrosanto. Ricordo che lo “stato di diritto”, insieme alla solidarietà e alla pace, è uno dei pilastri dell’Unione europea. Il discorso per me è più ampio rispetto al Recovery fund. Gli aiuti europei devono essere indirizzati solo ed esclusivamente a quei Paesi che non mettono in discussione lo stato di diritto e i princìpi base di una democrazia. Ho più volte denunciato i provvedimenti liberticidi di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca. Mi pare il minimo chiedere e pretendere che in quei Paesi si rispettino i diritti umani e civili, l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, ma anche il diritto di difesa. Sarebbe assurdo che l’Europa e il Parlamento europeo, che giustamente denunciano la violazione dei diritti umani in Turchia, in Egitto, in Bielorussia, non sanzionino gli stati dell’Ue che violano i princìpi base della democrazia.

Di cosa sono “accusate” Polonia e Ungheria?

Ungheria e Polonia sono accusate di aver violato i princìpi base dello stato di diritto. Il Parlamento europeo, che ha dato inizio alla procedura, ha contestato all’Ungheria infrazioni sul funzionamento del sistema elettorale, sull’indipendenza della magistratura, sulla libertà di pensiero, di stampa e di culto, sui diritti delle minoranze e sui conflitti di interesse di ministri e deputati.

Come è possibile che un Paese dell'Unione non rispetti i diritti fondamentali?

È il risultato finale di una pessima storia che viene da lontano. In questi anni sono stati tollerati atteggiamenti e decisioni - in particolare del Primo ministro ungherese, Viktor Orban - che nulla hanno a che vedere con lo spirito e i princìpi europei. Purtroppo Orban è stato spesso difeso perché aderisce al Partito popolare europeo, il gruppo più numeroso al Parlamento Europeo. Orban ha cancellato la democrazia in Ungheria e si è fatto votare i “pieni poteri”. La Polonia, più o meno contemporaneamente, ha approvato leggi che hanno calpestato la divisione dei poteri e, in particolare, l’autonomia e indipendenza della magistratura. Questa situazione deriva dal fatto che una parte fondamentale del meccanismo decisionale europeo è da rivedere. Non solo è eccessivo il potere del Consiglio, ma le decisioni più importanti debbono essere approvate all’unanimità, il che paralizza ogni tentativo di fare passi avanti.

Perché non è mai stato attivato l'articolo 7 del Trattato sull'Unione europea contro Polonia e Ungheria - che arriva a prevedere la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio - come richiesto dal Parlamento europeo nel gennaio scorso?

Per i motivi che ho ricordato. Sin quando sarà possibile che un solo Stato possa bloccare ogni decisione sarà ben difficile che i singoli Paesi siano sanzionati. Il Parlamento europeo ha in più occasioni votato , a grande maggioranza, che si attivasse l’art. 7, ma il Consiglio europeo ha sempre bloccato tutto.

L'Europa ha deciso di chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti in Polonia e Ungheria?

Nelle aule del Parlamento, a Strasburgo e a Bruxelles, non sono mai mancate le parole di condanna e di censura. Tutt’altro. Per quanto di sua competenza sia il Parlamento che la Commissione europea hanno fatto le scelte e i passi che gli competono.

Tra le minacce del blocco di Visegrad di far saltare il Recovery e le recriminazioni opposte dei paesi frugali, intenzionati, forse strumentalmente, a non recedere sui diritti, a farne le spese potrebbero essere Paesi come l'Italia, fortemente colpiti dalla pandemia e bisognosi di un intervento urgente. Come se ne esce da questo imbuto?

Non sono molto fiducioso, ma è probabile che una soluzione si troverà anche grazie alla lungimiranza e alla saggezza della Cancelliera Merkel che ha ben chiaro che il fallimento del Recovery fund sarebbe anche il fallimento dell’Unione europea. Più volte, e da voci diverse, abbiamo sentito parlare del Recovery fund come un vero e proprio miracolo politico, come un passo avanti che mai si era visto nel passato. Se questo passo in avanti fosse bloccato o anche solo modificato in maniera rilevante, le conseguenze negative saranno irreversibili. Lo dico spesso: un conto è la mediazione alta e nobile, altro il compromesso ignobile.

Che armi ha la Germania, presidente di turno del Consiglio, per superare questo stallo?

La forza e l’autorevolezza della sua Cancelliera, ma più in generale di un Paese che è stato ed è l’autentico ago della bilancia dello sviluppo dell’Unione Europea. Su molti dei Paesi dubbiosi o tentennanti la Germania ha una importante influenza economica. Da sola può fare proposte e cercare mediazioni, ma se non avrà di fianco tutti i Paesi che credono fermamente in questi principi, sarà ben difficile fare i passi avanti che sono necessari.

Il nostro Paese si dichiara inamovibile sul rispetto dei diritti e contemporaneamente punta su una mediazione. Crede che la nostra posizione sia ambigua?

Speriamo che le dichiarazioni o le prese di posizione non rimangano solo dichiarazioni, ma che seguano dei passi concreti. Le maggiori ambiguità si sono avute in passato e, grazie al cielo, la stagione dei governi sovranisti ce la siamo lasciata alle spalle. Fa bene l’Italia a puntare sul rispetto dei diritti. La nostra non è solo una comunità economica ma è anche, e soprattutto, una comunità sociale che condivide i valori fondamentali.