Forse bisogna perdere per riassaporare il gusto della democrazia. E così, dopo le Regionali, Lega per Salvini premier e Movimento 5 Stelle, due partiti costruiti attorno alla figura di un uomo forte al comando, corrono ai ripari per tentare di raddrizzare la rotta. Obiettivo: liberare i leader dalle puntuali accuse di autoritarismo e responsabilizzare il resto del partito nei periodi di “cattiva sorte”. Come? Condividendo pezzi di potere con una segreteria politica.

Per la prima volta nella loro storia, i grillini pensano alla creazione di una commissione di dieci persone. Nulla a che fare col direttorio a cinque - eletto nel 2014 e liquidato meno di due anni dopo per le vie brevi dal “garante” - etereodiretto da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Il nuovo organismo, se mai vedrà la luce, «avrà il compito di effettuare una sintesi, elaborando gli argomenti che dovranno poi essere rimessi al voto degli iscritti», spiega il reggente pentastellato Vito Crimi, stanco di essere impallinato quotidianamente dalla base (e dalle altezze) del Movimento.

Il partito di Grillo, uscito malconcio da tutti gli ultimi appuntamenti elettorali e in preda a una vera e propria crisi di nervi, cerca nuove soluzioni per non implodere. Ma per alcuni parlamentari scettici quella di Crimi è solo una mossa per prender tempo e rimandare il più possibile lo scontro degli Stati generali. «Dobbiamo dotarci di una nuova organizzazione, è evidente», spiega ancora il reggente pentastellato, nel tentativo di arrestare la slavina che potrebbe travolgere il partito. «E dobbiamo pensare ai temi del futuro, ai nuovi obiettivi che intendiamo porci, al nuovo sogno che vogliamo realizzare per il Paese». Sì, perché dopo aver portato a casa il taglio dei parlamentari, l’ultimo vessillo del Movimento “anticasta” che fu, i grillini hanno disperato bisogno di darsi nuovi traguardi da raggiungere che proiettino il partito verso i prossimi anni. E l’unico modo per operare una sintesi tra le troppe anime pentastellate - senza forzare troppo la mano - è affidare l’amaro compito a dieci persone, in attesa di un vero avvicendamento al vertice, che comunque non dovrebbe più prevedere un solo capo politico al comando, ma una guida collegiale con un primus inter pares a fare da frontman. Non è detto che l’operazione riesca e che il Movimento arrivi intatto agli Stati generali, eppure la “segreteria” a tempo determinato sembra l’ultima spiaggia in cui riparare.

Non è all’ultima spiaggia invece la Lega, che però vive il paradosso dell’apice del consenso raggiunto dopo le elezioni Politiche del 2018, quindi senza aver mai davvero incassato in Parlamento il bottino conquistato pochi mesi dopo a suon di porti chiusi e prima gli italiani. È come se il Carroccio fosse un primo partito ipotetico: in cima a tutti i sondaggi nazionali eppure in affanno alle Regionali. E sono tanti i colonnelli leghisti a temere che il “capitano”, dal Papeete in poi, non sia più in grado di guidare il partito verso la vittoria finale. Salvini avverte il fiato sul collo e comincia a insospettirsi per le chiacchiere su possibili alternative alla sua leadership (Luca Zaia, su tutti). Per uscire dall’accerchiamento non può far altro che aggrapparsi ai potenziali congiurati, mettendo sul piatto della bilancia la panacea di tutti i mali politici: una bella segreteria. Dovrebbero farne parte: i tre vicesegretari (Giorgetti, Fontana e Crippa), i due capigruppo di Camera e Senato (Molinari e Romeo) e i governatori (Zaia, Fontana, Fedriga e Tesei).

Certe dovrebbero anche essere la presenze di Calderoli e di tutti gli ex ministri (Centinaio, Stefani, Bongiorno e Locatelli). Come in un partito tradizionale, ognuno avrà un proprio dipartimento da curare, una parte di potere da condividere col segretario. «Sono abituato a delegare, lo faremo sempre di più», dice convinto Salvini. Non è detto che serva a ricompattare il partito, ma una segreteria non si nega a nessuno.