Pur se “in linea con le raccomandazioni dell’Unione europea”, Giuliano Cazzola non sembra del tutto convinto delle linee guida del governo sul Next Generation Ue, ma soprattutto rimprovera l’esecutivo di non aderire al Mes e spinge Draghi al Quirinale.

Professor Cazzola, si parla in queste settimane di digitalizzazione e innovazione, di rivoluzione verde e infrastrutture. Siamo sulla strada giusta?

La strada è quella indicata dall’Ue in linea generale. I documenti prodotti dal governo corrispondono agli obiettivi indicati, poi come dice il proverbio “chi legge solo il cartello non mangia il vitello’’. Il nostro Paese è noto per avere accumulato tante proposte di opere pubbliche ed infrastrutture, con i relativi finanziamenti, che tuttavia non sono mai riuscite a partire. Questa volta – se vogliamo – esiste una sola garanzia: possiamo definirla “il pilota automatico’’ oppure le “condizionalità’’. Il fatto è che non è possibile fare i furbi come abbiamo fatto tante volte nella passata legislatura quando chiedemmo ed ottenemmo circa 30 miliardi di flessibilità, per affrontare la ricostruzione delle zone terremotate. Col Recovery Fund, le risorse arriveranno dopo un esame in sede europea dei progetti, per step di avanzamento dei lavori, a seguito di verifica e di corretta rendicontazione. È la solita storia del “vincolo esterno’’ che anche adesso rappresenta per noi una guida di cui non siamo capaci di fare meno.

Conte agli studenti ha detto: “Se falliamo sul Recovery avete il diritto di mandarci a casa”. Ma l’Italia può permettersi di fallire in un progetto così importante?

Non potrebbe permetterselo e il problema è squisitamente politico. Ovvero, è in grado il sistema politico di reggere questa sfida? Non mi riferisco solo alle capacità progettuali dove pure il sistema è carente e al tempo stesso sospettoso e arrogante. Pensi a come il governo ha trattato Vittorio Colao e il suo piano. O come Lucia Azzolina non ha preso in considerazione il documento predisposto dalla commissione presieduta da Patrizio Bianchi. L’interrogativo è rivolto alla natura stessa delle forze di maggioranza. Lei conosce certamente la storia dello scorpione che uccide la rana che la porta sulle spalle, perché è costretto ad obbedire alla sua natura anche a costo di annegare. Le pare che abbia un senso il tergiversare sul Mes sanità solo per partito preso? Questo governo, nella situazione data, è il solo, nell’attuale quadro politico che potrebbe accettare di farsi guidare. Ma fino a che punto il Conte 2 è in grado di durare? E come?

Quindi lei è a favore del Mes…

Certamente. La scuola è la prova di quanto sia sbagliato aver rinunciato al Mes ( che ammetteva il finanziamento delle spese sanitarie indirette, come, senza alcuna riserva, la sanificazione degli edifici scolastici). Poi, in autunno, arriverà l’influenza stagionale, anch’essa contagiosa e virulenta. Occorrerà quindi – e il ruolo della medicina territoriale sarà determinante, mentre non lo è stato nei primi mesi del contagio – attrezzarsi a distinguere, altrimenti ogni raffreddore o colpo di tosse verrà scambiato per un sintomo del virus malefico. Sarà assolutamente necessario ampliare la copertura della vaccinazione antinfluenzale, che è a disposizione da decenni, possibilmente rendendola obbligatoria per i soggetti a rischio. Infine, occorre rimediare agli effetti collaterali provocati dal coronavirus, il più serio dei quali riguarda le decine di migliaia ( se non di centinaia di migliaia) di interventi chirurgici rimandati, di accertamenti non effettuati e quant’altro. Del resto – ecco un’altra ragione per aderire al Mes – nei nosocomi i posti in terapia intensiva non sono “in aggiunta’’, ma corrispondono, nella generalità dei casi, ad una riconversione dei posti preesistenti. Che ora mancano per la cura delle patologie a cui sono stati sottratti.

Secondo lei ci sono interventi specifici che necessitano di essere presi in considerazione più di altri?

Sicuramente sì e vorrei soffermarmi sul mito della lotta alla burocrazia che viene evocato da tutte le parti. Dall’inizio degli anni novanta del secolo scorso è aperto il cantiere della riforma della PA. Ogni ministro che arriva alla Funzione pubblica propone un suo progetto di riforma, mentre è ancora aperto il completamento di quella ereditata dal suo predecessore. Così il personale vive in una condizione di permanente destabilizzazione. Ormai l’opinione pubblica si è resa conto che esiste lo ‘’ sciopero della firma’’ e ne ha afferrato anche i motivi. La sola riforma utile della PA è quella di ridurne il più possibile il perimetro privatizzando tutto ciò che il regime privatistico può gestire meglio del pubblico. Purtroppo si sta andando in direzione opposta.

I sindacati si stanno lamentando di non essere coinvolti nel piano di rilancio. É d’accordo?

Certamente. I sindacati però che cosa hanno da dire? Fino a ora sono rimasti inviluppati nella fase 1. Si sono preoccupati della Cig e del blocco dei licenziamenti. Più che agevolato hanno congelato l’economia. Adesso tentano anche di portare indietro di 25 anni l’assetto del sistema pensionistico.

Cosa si aspetta dalla prossima Legge di bilancio?

Una correlazione con l’iter del Recovery Fund. Vanno bene la fontanella nella piazza, il parco pubblico in periferia, il ponte sul torrente, la digitalizzazione della bottega del signor Rossi. Ma molto meglio un pezzo di rete ferroviaria che colleghi il Mezzogiorno alle grandi reti del traffico continentale.

Vedrebbe bene Draghi alla presidenza della Repubblica?

Dove si firma per candidarlo? Io ci sto. Non solo al Quirinale, anche in Vaticano e nel Palazzo dell’Onu. Il fatto è che l’attuale Parlamento non ha la lucidità necessaria per eleggere Draghi.