Trattato di pace, accordo storico, intesa del secolo. Si sprecano le definizioni per la firma al documento che avvicina Israele a Emirati Arabi Uniti e Bahrein. La sigla al termine dei colloqui in corso da tempo, è stata posta ieri alla Casa Bianca a Washington. In ogni caso si vedrà se la regia di Donald Trump reggerà alla prova del tempo per quella che in gergo diplomatico viene chiamata “normalizzazione” dei rapporti.

Si tratta comunque di un’intesa importante e, non solo perché cambia gli equilibri in Medio Oriente, ma anche perché potrebbe avere ricadute negli Usa pienamente impegnati nella campagna elettorale per le presidenziali di novembre. Il programma prevedeva incontri bilaterali tra i paesi interessati prima della firma. Il trattato più importante è quello che va sotto il nome di “Abramo” e riguarda principalmente EAU e lo stato ebraico, con il Bahrein invece si è raggiunta solamente un’intesa di massima visto il poco tempo a disposizione per le diplomazie. Sebbene i contenuti non siano noti nei dettagli, sembra che i vari paper, oltre ad intese su cooperazione economica e militare, riguardino la questione palestinese ( uno dei nodi che rischia di far saltare il tavolo ). Ufficialmente Netanyahu ha sospeso l’annessione di alcuni territori della Cisgiordania a maggioranza palestinese anche se si sarebbe riservato di riprendere il dossier in un secondo tempo.

L’operazione orchestrata dagli Stati Uniti però ha soprattutto un carattere anti- iraniano. Gli Emirati, così come l’Arabia Saudita, sono diretti concorrenti di Teheran e dai suoi tentativi di influenzare il quadrante che va dall’Iraq fino al Libano. La vicenda dell’uccisione del generale Souleimani dimostra quale tensione interessi tutta l’area. Anche il Bahrein, che l’Iran considera parte del suo territorio con radici cultural religiose simili, deve affrontare i tentativi di destabilizzazione del regime degli Ayatollah. Ma è Israele che con gli accordi allenta il conflitto con i palestinesi e si assicura un periodo tranquillo. Il risultato è stato quello di riavvicinare le fazione di Hamas e Fatah, l’unica via difensiva vista la perdita di appoggio anche da parte della Lega araba che non ha condannato la cosiddetta “normalizzazione”. Se l’intesa funzionasse per Trump sarebbe un colpo di politica estera che potrebbe aiutarlo nella rielezione. Sia per l’atteggiamento forte nei confronti dell’Iran ( storicamente ben visto dagli elettori) sia perché ogni ricaduta positiva per Israele assicura il sostegno delle comunità cristiano- evangeliche che sono molta parte della base elettorale di Trump.

Ultima ma non minore questione Emirati Arabi e Bahrein incrementeranno il loro trading con Israele per quanto riguarda il settore dell’hi tech, per contro gli israeliani potrebbero abbracciare liberamente il turismo nei deserti, spiagge e centri commerciali del Golfo. Washington a quel punto tenterà la strada della penetrazione economica non più basata solo sul petrolio.