Mentre il governo sta preparando le linee guida sull’utilizzo del Recovery Fund, Tommaso Nannicini, senatore del Pd in prima linea per il No al referendum, ragiona di costi e risparmi, di taglio dei parlamentari e regionali, di Legge di bilancio e problemi interni al Pd. Senatore Nannicini, come valuta le prime indiscrezioni sull’utilizzo del Recovery Fund da parte del governo? Per commentare le linee guida aspetterei di vedere quelle ufficiali perché ancora siamo alle bozze. Tuttavia il ministro Amendola ha ufficializzato l’arrivo delle linee guida entro ottobre e lì capiremo se si inizia a concretizzare una consapevolezza che per fortuna vedo crescere nel governo. L’utilizzo delle risorse del Recovery Fund dovrà essere accompagnato da politiche di riforme strutturali che mettano in sicurezza la crescita e il rilancio degli investimenti, così come il welfare. Mi aspetto che in quelle linee guida sia ribadito questo approccio e non quello di spendere soldi a pioggia con interventi spot, perché bisogna partire dalle raccomandazioni dell’Unione Europea, che non è un bancomat ma lo spazio dove c’è una politica comune per favorire crescita e giustizia sociale. È d’accordo con il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, secondo il quale con una parte dei soldi dovremmo aumentare le risorse per l’industria 4.0? Sono d’accordo sull’approccio, perché è un piano senz’altro da aggiornare e rilanciare ma che fin dall’inizio andava incontro all’innovazione tecnologica di cui il Paese ha bisogno. Ora i due grandi assi devono essere la transizione digitale e quella ecologica verso la sostenibilità ambientale. Però mi aspetto che si passi dalle parole ai fatti, perché finora quando siamo andati in Parlamento i soldi si sono trovati per Alitalia e non per l’innovazione digitale, e c’è ancora qualcuno che parla della dittatura del 5G… Quali sono i rischi a cui andremmo incontro nell’utilizzo di così tanto denaro? Spendere male questi soldi avrebbe conseguenze gravissime sulla crescita e anche sull’uguaglianza nel nostro paese. È un’occasione storica con due rischi, che non si passi dalle parole ai fatti per incoerenza o perché sbagliamo il metodo. Mi riferisco alle bozze di duemila pagine che girano con mille microprogetti con valutazioni tecniche molto discutibili per accontentare Tizio o Caio: ecco, questo sarebbe un modo sbagliato di utilizzare questa occasione che come europei ci siamo costruiti. Crede, come ha detto Matteo Renzi, che alla fine il M5s cederà sul Mes come ha fatto sulle Tap? Non lo so, perché i decreti Salvini sono ancora lì, quota 100 non è stata sostituita con una riforma delle pensioni che guardi alle giovani generazioni e quindi tutta questa capacità di cambiare le priorità che lo stesso M5s aveva imposto al Conte I al momento non la vedo. Può essere che il Mes venga utilizzato e che sia arrivi a un compromesso politico, l’importante è che lo si faccia non per piantare bandierine politiche ma per investire su presidi territoriali, case della salute e telemedicina. Su queste colonne Carlo Cottarelli ha detto che il Mes non è un argomento sul quale far cadere un governo. È d’accordo? È difficile prevedere quali potrebbero essere le cause di tensione nelle alleanze politiche, perché quando la goccia fa traboccare il vaso il problema non è la goccia, ma il vaso che si era riempito. Mi auguro che non succeda, ma che questo governo vada avanti non solo per fermare Meloni e Salvini ma trovando una visione di compromesso che faccia bene all’Italia. In questi giorni si parla molto di costi e risparmi riguardo a Mes, Recovery Fund e taglio dei parlamentari. Che ne pensa? Quello dei costi per me non è un tema per due motivi. Intanto perché è sbagliato porlo, visto che durante la crisi del Covid ci siamo accorti dell’errore di approcciarsi ai temi della sanità, della scuola e dell’università a colpi di tagli, e mi auguro che qualcuno tra qualche anno, di fronte a un’altra crisi, non si accorga di cosa voglia dire tagliare la democrazia. E poi c’è un secondo motivo di natura economica, con il taglio dei parlamentari si risparmia un caffè all’anno per ogni italiano e le due camere continueranno ad avere strutture organizzative identiche, alla faccia della lotta agli sprechi. Tra l’altro il Movimento 5 stelle non ha mai parlato di taglio dei parlamentari ma di taglio a stipendi e benefici, ovviamente quando riguardava qualcun altro e non loro stessi. Quindi il suo è un “No” politico e non economico.. Siamo passati dal tagliare i costi al tagliare i parlamentari, perché poi tanto ci sarà sempre il modo di mettere i propri fedelissimi al posto giusto. Avere meno parlamentari vuol dire controllarli meglio, da parte di lobby e capi partito. D’altronde quando la politica è più debole e più controllabile ci sono altri poteri che aumentano la loro sfera di influenza. Ma il suo partito in direzione si è ufficialmente schierato per il Sì. La divisione interna avrà delle conseguenze? Quella direzione è stata tardiva e inutile, perché non faceva onore alla voglia di politica nella nostra comunità, che da mesi s’interroga su come cambiare la Costituzione. A fronte di questa discussione e di questo pluralismo, se si voleva una decisione univoca bisognava sentire la base, attraverso assemblee di circolo o un referendum. La scorsa direzione è stata solo un modo legittimo dell’attuale classe dirigente di esprimere la propria posizione, ma resto dell’idea che non si cambi la Costituzione nata dalla Resistenza così, un tanto al chilo, per seguire l’antipolitica e l’antiparlamentarismo. Quindi l’esito del referendum non cambierà le cose nel Pd? Penso, ad esempio, alla leadership del segretario Zingaretti… Il referendum non è il Congresso del Pd, ed è stato sbagliato politicizzare il voto attraverso la direzione. Ma al di là di referendum e regionali, l’ultimo congresso del Pd è stato fatto un’era geologica fa, quando Renzi era ancora nel partito, al governo c’erano Lega e 5 stelle e tutte le mozioni dicevano “mai al governo con i 5 stelle”. Non possiamo andare avanti a interviste di giornale in cui i dirigenti usciti da quel congresso ci dicono non solo che l’alleanza di governo serve a non dare il paese in mano a Salvini, ma che è un’alleanza strutturale. Ecco, penso che dobbiamo chiarire se questa è un’alleanza a tempo in cui il Pd dovrebbe far valere con forza i propri temi o se è una nuova alleanza strategica. È un tema serio che riguarda l’identità stessa del partito. Che alle regionali rischia di essere messa in seria difficoltà, con il muro rosso toscano che prese sgretolarsi. Come finirà? Sono in partenza per la campagna elettorale a Livorno e spero che il muro toscano regga, ma diciamocelo: quel muro, soprattutto nella parte sud della regione, aveva già delle falle. La Toscana è una regione contenibile già da prima e dobbiamo essere forti e credibili per convincere i toscani a rinnovarci il mandato di governo. Mi auguro che i miei conterranei lo facciano non per gli equilibri nazionali ma per il bene della nostra terra. Post referendum e regionali andremo incontro alla prima legge di Bilancio del dopo emergenza. Come lo affronteremo? L’autunno sarà molto duro e se qualcuno pensa di nascondersi dietro a un rimbalzo tecnico, che comunque ci sarà, temo che sbagli i conti. L’economia italiana attraverserà il perdurare degli effetti di una crisi forte e strutturale; in più ci saranno le conseguenze occupazionali e sociali della fine di alcune politiche emergenziali come la cassa integrazione straordinaria e lo stop ai licenziamenti. Dobbiamo esserne consapevoli per cambiare passo, avere lo sguardo più lungo, mettendo in sicurezza il nostro welfare e le nostre politiche del lavoro e della formazione. Se non facciamo tutto questo saranno i più deboli, le donne, i giovani, i disoccupati e i precari a pagare i costi della crisi economica. È su questo che rischia il governo, non sul referendum, checché ne dica chi fa solo politica di palazzo.