Il sacrificio di Ebru Timtik, morta in Turchia il 27 agosto dopo 238 di sciopero della fame, non può essere dimenticato. È questo il messaggio che l’avvocatura italiana ribadirà oggi in piazza a Roma con una manifestazione organizzata per le 14.30 davanti a Montecitorio. L’appuntamento - promosso dall’Associazione Nazionale Giuristi Democratici insieme al Cnf, l’Unione Camere Penali, l’Aiga e numerose altre sigle forensi - nasce per ricordare la tragica morte della collega turca e chiedere la liberazione definitiva di Aytaç Ünsal, scarcercato in via provvisoria il 3 settembre dopo 215 giorni di digiuno.

Largamente partecipata dalla società civile, l’iniziativa rappresenta un’occasione di denuncia del regime di Erdogan per sollecitare il governo italiano e le istituzioni europee affinché agiscano in difesa dei diritti fondamentali dell’uomo, condannando le responsabilità delle autorità turche per la morte di Ebru. La sua tragica fine, infatti, ha posto «all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale l’inammissibile repressione degli avvocati in Turchia, che vengono minacciati, arrestati e condannati a lunghe pene detentive, al termine di processi svolti in violazione dei principi del contraddittorio e del giusto processo, solo perché colpevoli di svolgere in maniera indipendente la loro professione come accade anche a giudici, accademici, giornalisti e difensori dei diritti umani», spiega il Consiglio Nazionale Forense. «Secondo l’ultimo aggiornamento del rapporto di Arrested lawyers initiative, sono 441 gli avvocati detenuti e condannati ad un totale di 2728 anni di reclusione», precisa ancora il Cnf che, in sinergia con il Consiglio degli ordini forensi europei ( Ccbe) e l’Osservatorio degli avvocati in pericolo ( Oiad), è impegnato da anni nell’attività di denuncia delle violazioni dei diritti in Turchia.

Proprio quest’anno, con una delibera del 17 gennaio scorso, il Cnf ha proclamato il 2020 “l’Anno dell’avvocato in pericolo nel mondo”. Un segnale importante, ricordato anche nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’evento di oggi. Barbara Spinelli, avvocata del Foro di Bologna e moderatrice dell’appuntamento svolto ieri in remoto, ha introdotto il tema della manifestazione con le parole del presidente della Cedu, Roberto Spano, pronunciate in occasione della sua controversa visita in Turchia: «Nessun uomo, nessuna donna, è al di sopra della legge e tanto meno possono esserlo le autorità e chi detiene il potere». Spinelli ha poi ricordato il lavoro di «di diplomazia» svolto in queste settimane dall’avvocatura italiana ed europea, sottolineando, al contrario, il silenzio del governo italiano. «Il caso di Aytaç Ünsal evidenzia come l’unione faccia la forza», spiega Simona Tarantino di Aiga. Mentre Francesca Pesce, del sindacato nazionale forense MGA, sollecita nuovamente l’impegno delle istituzioni: «l’unico strumento che abbiamo a disposizione per cercare di fermare Erdogan». «Le nuove leggi contro il terrorismo introdotte in Turchia - spiega Pesce - autorizzano una commistione tra potere politico e giudiziario. E noi abbiamo il dovere di ricordare ai paesi membri dell’Ue che il Trattato dell'Unione Europea impone di vigilare sulla restrizione dei diritti umani». «Mutuando un’espressione giornalistica, gli avvocati devono essere i “cani da guardia” del diritto», dice Eva Vigato di Movimento Forense, che mette in evidenza il ruolo sociale dell’avvocato come tecnico del diritto.

Si unisce alla mobilitazione anche Magistratura Democratica e Articolo 21, l’associazione di giornalisti da anni impegnata a sostegno dei colleghi processati e incarcercati dopo il tentanto golpe in Turchia. Quell'impegno costante per i diritti fondamentali dell’uomo e per il giusto processo che fa parte del «dna statuario dell’Unione Camere Penali», spiega Giuseppe Guida, componente di giunta delegato all’Osservatorio. «Gli autoritarismi nella storia dell’umanità si sono sempre affermati attraverso l'uso coercetivo e persecutorio della giustizia - sottolinea Guida. La morte di Ebru non è solo l'eccidio dell'avvocato, ma l’eccidio dell’avvocato come rappresentante dell’opinione contraria». Proprio per questo, continua il delegato, «è preoccupante leggere in alcuni comunicati ministeriali espressioni come “buttare le chiavi”, “marcire in galera”: termini violenti che non possono appartenere alla cultura liberale del giusto processo». Sempre come delegato dell’Osservatorio, infine, la testimonianza dell’avvocato Ezio Menzione, che pone l’attenzione sul «rischio quotidiano» che corrono i difensori, come dimostrano i recenti casi di attualità. «L'Italia e l'Europa dovrebbero fare molto di più, un regime sanzionatorio nei confronti della Turchia è più che giustificato», conclude Menzione.