Nel momento in cui scriviamo non si conoscono ancora le sorti di Giuseppe Mastini, detto “Johnny lo Zingaro”, l'ergastolano condannato per una serie di rapine, sparatorie e omicidi che non ha fatto ritorno in carcere dopo un permesso premio. Era rinchiuso dal 2017 nel carcere di massima sicurezza di Sassari, dopo la precedente evasione avvenuta dal penitenziario di Fossano ( Cuneo) il 30 giugno 2017. Anche in quella occasione era uscito godendo di un permesso premio e non aveva fatto rientro.

Era rimasto latitante per circa un mese, tempo che ha trascorso con in un'alcova con il suo amore di gioventù, Giovanna Truzzi, conosciuta quando avevano solo 11 anni. Lo catturarono le forze dell'ordine coordinate dall'attuale capo della Squadra Mobile di Napoli Alfredo Fabbrocini. Commentando i fatti nella trasmissione “Commissari - Sulle tracce del male” condotta da Giuseppe Rinaldi su Rai 3 Mastini disse: «Quei 25 giorni sono stati i più belli della mia vita, grazie all'affetto della mia famiglia. Sapevo che ci avrebbero trovati e le dicevo: spero che capiranno se sono persone che hanno umanità e sentimenti». Le forze dell'ordine lo stanno cercando ovunque, ma difficile se non impossibile sarà lasciare l'isola. Intanto è partita la macchina mediatica contro la magistratura di sorveglianza e il ministero della Giustizia, dicono fonti di via Arenula, ha delegato l'ispettorato generale per svolgere accertamenti preliminari e verificare la correttezza dell'iter seguito dal Tribunale di Sorveglianza di Sassari nella concessione del permesso premio.

Il suo legale, l'avvocato Enrico Ugolini che lo assiste dal 2014, si dice preoccupato: «Non so cosa possa essere successo, la notizia mi ha lasciato abbastanza sconcertato anche perché mi aveva telefonato circa dieci giorni fa e non aveva dato alcun segnale. Spero che stia bene e che non gli sia successo nulla». Sullo stato d'animo del suo assistito ci dice: «Era sereno, peraltro mi aveva comunicato lui stesso che aveva ricevuto la fissazione a febbraio di una udienza al Tribunale di Sorveglianza di Sassari per valutare l'istanza di semi libertà che aveva presentato. Si rammaricava solo per le tempistiche a suo dire lunghe ma gli ho spiegato che a causa del covid le udienze sarebbero dovute essere riprogrammate». Chiediamo all'avvocato come sono trascorsi questi tre anni dopo l'ultima evasione: «Ha patteggiato al Tribunale di Cuneo una pena ad otto mesi per quanto accaduto con l'accordo della Procura della Repubblica: infatti era emerso da tutti gli atti che non c'era il rischio di recidiva e che la fuga di fatto era stata compiuta perché era rientrato in contatto con la donna con cui aveva avuto una relazione sentimentale da giovanissimo. Non è andato a fare rapine». E dopo? «A un anno dall'evasione non gli era stato concesso alcun beneficio. Aveva ripreso i contatti con gli assistenti sociali, con gli educatori e poi aveva ricominciato a godere di diversi permessi premio. Non essendo un ergastolano ostativo il percorso che si pensava di fare era quello di un cospicuo periodo di semi libertà per poi chiederne la sostituzione con la libertà controllata».

Giuseppe Mastini era stato infatti affidato alla Comunità Don Muntoni di don Gaetano Galia, cappellano del Carcere, che ci racconta: «Giuseppe era stato accolto dalla nostra comunità da due anni. Faceva attività di volontariato, agricoltura e giardinaggio. Lo stavamo aiutando a riprendere in mano la sua vita, aveva anche dei progetti futuri qui in Sardegna, voleva aprire una attività gastronomica. Nelle sue ore di libertà coltivava anche la sua relazione affettiva con la compagna che aveva preso una casa in affitto qui sull'isola. Lo abbiamo visto due mattine fa alle 9 perché aveva dormito qui, e poi abbiamo saputo che non ha fatto rientro in carcere a mezzogiorno. Vorrei anche aggiungere una cosa: ora si scateneranno le polemiche contro il magistrato che ha concesso il permesso premio. Scaricare tutta la responsabilità sui magistrati è un discorso populista: quando prendono tali decisioni non lo fanno con superficialità, tengono in considerazione tutte le relazioni delle persone del carcere: criminologi, assistenti sociali, etc. Mi auguro che il ministro Bonafede non trovi in quanto accaduto l'occasione per qualche provvedimento ad hoc». Dello stesso parere anche l'avvocato Ugolini: «Ribadisco quello che avevo già detto tre anni fa. Tra i vari ruoli giudiziari quello più difficile è quello del magistrato di sorveglianza: ci si basa su una osservazione portata avanti da una equipe di persone all'interno del carcere. Sinceramente l'operato della magistratura mi sembrava limpido e lineare. Giuseppe Mastini in carcere è sempre stato un detenuto modello: è un soggetto che partecipa alle attività, che per quanto mi risulta in anni di detenzione non ha mai ricevuto un rapporto disciplinare, né ha assunto un atteggiamento scorretto con detenuti e agenti». E allora come mai questo gesto? «L'opinione pubblica deve considerare il fatto che è un soggetto che sta da 40 anni in carcere e ne sono trascorsi oltre 30 dagli episodi gravi per cui è stato condannato. Bisognerebbe invece interrogarsi sul fatto di rimanere così tanto tempo in carcere. Per questo avevamo intrapreso anche il percorso per chiedere la grazia. Lui forse ha questi momenti in cui l'anelito di libertà senza secondi fini prevale sul rispetto delle regole. Bisogna anche tener presente che siamo di fronte ad una persona di 60 anni che ne ha trascorsi 40 o forse più in carcere.

Giuseppe Mastini è un uomo che ha vissuto una vita estremamente difficile sotto vari aspetti, iniziando la galera da minorenne». Infatti l'uomo, figlio di giostrai sinti, già a 14 anni viene accusato del delitto, di cui si è sempre detto innocente, di un tranviere, Vincenzo Bigi, ucciso dopo una rapina: Mastini viene portato nel carcere minorile di Casal del Marmo, da dove però riesce a fuggire, prima di essere nuovamente arrestato. Nel 1987 esce in permesso premio dal carcere, ma non rientra: in quei giorni, secondo le accuse, ' il biondino', altro modo in cui veniva soprannominato, prima entra nella villa dei coniugi Buratti a Sacrofano, uccidendo il marito e ferendo gravemente la moglie, poi ruba un'auto e sequestra una ragazza di 20 anni, Silvia Leonardi. Ancora fughe, inseguimenti, scontri a fuoco. In uno di questi resta ucciso l'agente Michele Girardi. Il 24 marzo del 1987 viene arrestato dopo un'imponente battuta di caccia. Il suo nome riemerge anche nel processo sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini, secondo una pista investigativa che però non trovò riscontri.