Giornalisti, professori, artisti, intellettuali. E, soprattutto, avvocati. Non c’è spazio per i dissidenti nella Turchia di Recep Tayyip Erdogan, dove le carceri ingoiano coloro che protestano per i diritti civili spuntadoli fuori, molto spesso, soltanto da morti. E la repressione continua, nonostante lo stato d’emergenza, durato due anni e proclamato a luglio 2018, sia ufficialmente finito. Ebru Timtik è solo l’ultima vittima: Helin Bölek, solista del gruppo musicale Grup Yorum, è morta il 3 aprile dopo essersi rifiutata di mangiare per 288 giorni in segno di protesta contro l’imprigionamento di altri membri del gruppo, al quale erano stati vietati i Abdullah Öcalan, leader dell’ala armata del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), al quale è stata vietata ogni visita con familiari e avvocati. Molti, tra coloro che hanno preso parte allo sciopero, sono stati accusati di terrorismo. Sono 101 i giornalisti attualmente in carcere e 1546 gli avvocati perseguitati dal 2016, 605 quelli arrestati e 345 quelli condannati arbitrariamente, per un totale di 2145 anni di prigione. Uomini e donne diventati il simbolo della repressione dell’opposizione politica al regime di Erdogan, che il giorno dopo il fallito golpe del 16 luglio 2016 ha licenziato 2.745 giudici, un terzo del totale. Ma non solo: 182.247 funzionari, insegnanti e accademici statali hanno perso il lavoro, 59.987 di loro sono stati arrestati e condotti in carceri dove il diritto alla difesa è una chimera. Una situazione semplificata concerti. Dopo di lei, il 7 maggio, è morto il bassista della band, Ibrahim Gökçek, anche lui stroncato da uno sciopero della fame durato 323 giorni. E prima di loro la stessa sorte era toccata al prigioniero politico Mustafa Koçak, morto il 24 aprile dopo un digiuno di 296 giorni.

Sono migliaia, stando al rapporto di Amnesty international, le persone rimaste in custodia cautelare per tempi lunghissimi, senza che a loro carico vi fossero prove di un qualche reato riconosciuto dal diritto internazionale, in carceri dove non di rado è praticata la tortura. Tra gennaio e maggio, migliaia di prigionieri hanno avviato uno sciopero della fame, seguendo l’esempio di Leyla Güven, parlamentare dell'Hdp di Hakkari, che chiede la fine dell’isolamento totale di dal caso dei 20 legali dell’associazione degli avvocati progressisti - della quale faceva parte Timtik - arrestati nel 2017 e condannati il 20 marzo 2019 in violazione di qualsiasi elemento costitutivo del giusto processo: dal diritto alla difesa, a quello al contraddittorio, passando per il diritto ad essere giudicati da un tribunale indipendente. Colpa degli avvocati quella di aver difeso gli oppositori politici di Erdogan, ma non solo: tra loro ci sono anche i difensori delle famiglie espropriate delle loro case a Istanbul, abbattute per far posto ai grattacieli, o di donne che sono state picchiate dai mariti perché rifiutavano di portare il velo. Tra le persone finite in carcere anche il presidente dell’associazione degli avvocati progressisti, Selçuk Kozagaçli, condannato a 19 anni per aver fondato e gestito un’organizzazione internazionale di matrice terroristica, mentre gli altri per averne fatto parte, con pene dai tre anni e un mese in su. Il capo di imputazione si regge sull'aver suggerito ai propri clienti di avvalersi della facoltà di non rispondere, con una percentuale statistica considerata superiore al dato nazionale, ma anche a colloqui con le famiglie troppo lunghi e frequenti.

La storia è iniziata con le purghe contro gli accademici, messa in atto da Erdogan dopo il mancato golpe, tra i quali Nuriye Gulmen e Semih Ozakca, imputati per “terrorismo” per presunti legami con il gruppo di estrema sinistra Dhkp. L’arresto di tutti e venti gli avvocati del collegio difensivo è avvenuto due giorni prima dell’inizio del processo a loro carico, diventato di colpo un processo politico per contrastare l’opposizione. Solo sei mesi dopo l’arresto, a marzo 2018, agli avvocati è stato concesso di prendere visione dei capi d’imputazione, secondo i quali l’associazione degli avvocati progressisti costituirebbe una branca del partito rivoluzionario messo fuori legge da Erdogan. La riforma costituzionale ha poi segnato in via ufficiale una vera e propria fusione tra potere governativo e sistema giudiziario: con la legge antiterrorismo del 25 luglio 2018 è stata infatti istituita una costola del potere che monitora gli istituti pubblici e che ha pieno e completo accesso a tutti gli elementi sensibili di tutti gli ordini degli avvocati della Turchia.