Definisce il taglio dei parlamentari «un passo avanti nel cammino riformista», Andrea Romano, deputato del Pd vicino a Lorenzo Guerini. Ma i i suoi colleghi di partito che la pensano diversamente non sono pochi. Onorevole Romano, nel Pd crescono le voci contrarie al taglio dei parlamentari. Lei cosa voterà? Sono convinto che da anni vi sia un attacco alla democrazia parlamentare, non solo in Italia ma in tutto l’Occidente. Ma la democrazia si difende solo riformandola e rendendola più efficiente ed efficace. Non si può sostenere che non vi siano modifiche da fare, come dicono i difensori del No. E per questo voterò Sì con le stesse motivazioni per cui ero favorevole alla riforma del 2016. Questa è una riforma parziale, certo, ma non è un buon motivo per bocciarla: dire di no significherebbe bloccare per molti anni ogni tentativo di riforma costituzionale. Inoltre tutte le proposte del centrosinistra, dagli anni ’80 in poi, hanno previsto la riduzione del numero dei parlamentari. E’ indispensabile essere coerenti con la tradizione di riforma costituzionale della sinistra di governo. Tuttavia per tre volte in Aula il Pd ha votato contro la riforma e in molti ora si nascondono per non essere messi in imbarazzo. Come sostenete la tesi del Sì? Non è vero che il Pd si sta nascondendo, perché in Aula abbiamo votato Sì compattamente, compresi alcuni che ora sostengono il No. Sono convinto che il Pd prenderà posizione, lasciando ovviamente libertà di scelta: siamo un partito plurale e non una caserma. Come sa, la votazione decisiva sulle riforme costituzionale è proprio la quarta e non a caso i padri costituenti hanno previsto una doppia lettura. I nostri primi tre No furono giustificati dal rifiuto delle presidenze delle camere di associare a questa riforma ogni emendamento che aprisse ai necessari correttivi. Votammo no perché quella riforma era completamente scollegata dall’impegno ad altri passi di riforma. Oggi invece il taglio dei parlamentari si inserisce in un quadro più ampio che comprende una nuova legge elettorale, il superamento della base regionale, l’equiparazione nell’età per l’elettorato attivo tra Camera e Senato. Come fate a essere sicuri che poi in Aula sarà possibile accordarsi con il Movimento su queste riforme? Questo è un tema reale, e il Movimento 5 stelle deve assolutamente decidere da che parte stare. Sono ben consapevole di come il Movimento sia magmatico e viva dell’incertezza che deriva dal suo non essere un partito “vero”. Se lo fosse assumerebbe posizioni stabili e trasparenti, e chiunque deve augurarselo. Le riforme tuttavia si fanno con chi è in Parlamento, e per citare Aldo Moro "questo è il tempo nel quale ci è dato vivere”. D’altra parte il Paese ha espresso questo Parlamento e noi abbiamo il dovere di tirare fuori il meglio da questa stagione della politica. Questa stagione della politica è rappresentata dagli stessi che vi accusavano di essere il partito di Bibbiano. Come riuscite a sostenere una riforma che è una loro battaglia storica? Abbiamo motivazioni diverse di sostegno alla riforma. Il loro è un ragionamento contabile che è semplicistico e brutale, ma dall’altra parte vedo come l’alleanza con il Pd abbia modificato le posizioni del M5s su molti punti. Un solo esempio tra tanti: l’Europa. La politica si fa spingendo per realizzare programmi che servono all’interesse del paese, non combattendo guerre di religione. Intanto i decreti sicurezza sono ancora lì… Abbiamo concorso a cambiare il discorso pubblico sull’immigrazione, che in epoca di Conte 1 era dominato dalla fabbrica della paura di Salvini, e stiamo cambiando i decreti sicurezza. La trattativa politica serrata anche perché il Movimento è certamente ambiguo su questo tema. Ma senza questo governo non solo avremmo ancora i decreti sicurezza 1 e 2 ma anche il 3, il 4 e il 5. Crede che il referendum possa influenzare la tenuta dell’esecutivo? Non vedo un collegamento diretto, anche perché la riforma è stata votata da una maggioranza amplissima che comprendeva anche le opposizioni. Diverso è il discorso sulle regionali che, senza girarci intorno, da sempre hanno un impatto anche a livello nazionale. A proposito di regionali, sulla possibile alleanza con i cinque stelle potremmo dire “tanto rumore per nulla”. Come se lo spiega? Credo che gli elettori del Movimento 5 stelle sappiano che il voto per le regionali non può essere disperso e dunque laddove non c’è l’alleanza capiranno la possibilità di fermare una destra pericolosa e di premiare la buona amministrazione votando per il candidato del centrosinistra. Come nella mia Toscana, amministrata benissimo per molti anni e dove schieriamo Eugenio Giani, un candidato validissimo. Pensa sia possibile un’alleanza strategica a livello nazionale con il Movimento? C’è una discussione alla luce del sole nel Pd. C’è chi considera l’alleanza con il M5s “naturale e culturale”, come se il Movimento fosse una costola della sinistra. Io ero contrario all’alleanza con il M5s nel 2018, dopo il voto. Ma dopo aver visto i risultati concreti del governo Conte I mi sono convinto che l’interesse nazionale imponeva il tentativo di spezzare l’alleanza tra Lega e Cinque Stelle: questo governo ha dimostrato quanto fosse indispensabile per l’interesse nazionale. Ma per il futuro credo che Pd e 5s restino due forze in competizione l’una con l’altra, che si confronteranno liberamente di fronte agli elettori. Prima delle quali servirà una nuova legge elettorale. Riuscirete a trovare un accordo? Io sono un maggioritarista ma non sempre gli obiettivi maggioritari si realizzano con leggi maggioritarie. Basti vedere le ultime elezioni fatte in Italia, con coalizioni organizzate prima delle urne ma che si spaccavano un minuto dopo il voto. Serve invece un proporzionale con sbarramento alto per produrre un vero effetto maggioritario, riducendo la frammentazione e rafforzando il rapporto con gli elettori. Auspico che Italia Viva voglia mantenere i patti, ma è difficile prevederlo perchè cambia spesso idea. Se il patto non regge, ognuno sarà libero di accordarsi con chi vuole. A proposito di Italia Viva, crede sia possibile in futuro la costituzione di un partito di centro che unisca moderati e liberali? Il centro non può essere inventato a tavolino. Negli anni Novanta i Popolari erano eredi di una grande tradizione politico-culturale, nel 2013 Monti raccolse l’eredità di un’esperienza di governo drammatica ed esiziale per il destino dell’Italia. Oggi non basta essere fuori dal Pd per dirsi moderati e liberali, come fa Calenda, che dopo aver tradito il patto con chi lo ha eletto a Bruxelles oggi si dimostra privo di equilibrio e compatibile solo con se stesso. Fuori dai grandi partiti di massa oggi abbiamo solo un agglomerato rissoso di piccole formazioni personali. Difficile che da qui possa venire un progetto politico serio. E se l’obiettivo di un partito è solo quello di far perdere qualcun altro, come sta facendo Italia Viva in Puglia con il mio amico Scalfarotto, la politica perde di senso.