Una discussione con l’ex proprietario di casa per un paio di lenzuola ed alcune pentole rischia di far perdere il posto ad un militare dell’Esercito. La vicenda inizia nel 2018. N. M. presta servizio da circa dieci anni nell’Esercito con il grado di primo caporale maggiore. N. M. è una delle molte volontarie in ferma prefissata delle Forze armate, una “precaria” con le stellette. Dopo tanta attesa, arriva finalmente il momento desiderato, quello di poter transitare in servizio permanente. Avendo tutti i titoli, N. M. partecipa al concorso che viene bandito dall’Amministrazione militare per il passaggio in sp.

N. M. vive in un piccolo appartamento in affitto nei pressi della caserma alle porte di Roma con il proprio compagno, anch’egli un militare. Passano i mesi ed rapporti con il proprietario di casa si fanno sempre più critici. Avvengono discussioni sul pagamento delle utenze, sul riparto delle spese condominiali, sul rinnovo del contratto di locazione. N. M. decide quindi di lasciare l’appartamento dopo aver saldato tutto con l’affittuario. A distanza di qualche settimana, N. M., che nel frattempo ha trovato un altro alloggio, riceve la notifica di un decreto di citazione a giudizio.

L’ex proprietario di casa ha presentato denuncia dai carabinieri nei suoi confronti per “appropriazione indebita”. Dall’appartamento mancherebbero, come si legge nel capo d’imputazione, delle lenzuola, delle pentole, uno stenditoio da bagno. Oggetti dal valore di poche decine di euro. Il reato di appropriazione indebita rientra fra quelli di competenza del giudice penale monocratico a citazione diretta, senza il filtro dunque dell’udienza preliminare. Correttamente, N. M. informa subito dell’accaduto la propria scala gerarchia. Quest’ultima inizia allora a dare corso alla procedura di esclusione dal concorso per il servizio permanente per sopravvenuta "mancanza" dei requisiti.

Nel bando, infatti, è prescritto che i concorrenti “non devono essere imputati in procedimenti penali per delitti non colposi”. I requisiti devono essere posseduti fino all’approvazione della graduatoria finale che per N. M. non è ancora intervenuta. Ad N. M. cade il mondo addosso: tutte le aspettative di una vita svaniscono all’improvviso e, rassegnata, si mette dunque alla ricerca di una nuova occupazione.

Passa qualche settimana e arriva il colpo di scena: l’ex proprietario di casa dopo aver presentato la querela ci ripensa e decide di ritirala. N. M. accetta subito la remissione della querela e ne da immediata comunicazione alla scala gerarchica in modo che la procedura concorsuale possa procedere regolarmente anche nei suoi confronti.

La burocrazia militare, però, ha già fatto il suo corso e N. M. riceve la comunicazione formale della intervenuta estromissione dal concorso. Nella graduatoria finale il suo nome non compare. Dopo qualche giorno arriva, a questo punto inutilmente, la sentenza di estinzione del reato per mancanza della condizione di procedibilità da parte del giudice. N. M. inizia un estenuante contenzioso amministrativo per far valere le proprie ragioni: esclusa dal concorso per un reato che non c'è stato. Ad assisterla c'è l’avvocato romano esperto di diritto militare Giorgio Carta.

I regolamenti militari non prevedono “l’estinzione” del reato, istituto di diritto penale che come in questo caso non consente di entrare nel merito dell’accertamento del fatto per essere venuti meno in limine litis i presupposti di perseguibilità.

L’avvocato Carta solleva altresì dubbi di illegittimità costituzionale di tale disciplina regolamentare. Per di più per quei reati di minore allarme sociale quali sono quelli a citazione diretta laddove lo status di imputato viene acquisito in forza della sola scelta del pm che dispone la citazione senza il vaglio del giudice dell’udienza preliminare.

Una disposizione che stride con la presunzione di innocenza sancita dall’articolo 27 della Costituzione, limitando i diritti del mero imputato equiparato di fatto al colpevole con sentenza definitiva. Il Tar del Lazio respinge il ricorso. Di diverso avviso il Consiglio di Stato che nelle scorse settimane ha accolto la doglianza di N. M., annullando in radice il provvedimento di esclusione dalla graduatoria.

L’Amministrazione militare dovrà ora “esaminare in concreto le situazioni relative alla gravità dei fatti ed alla definitività dell’accertamento penale”. Per N. M. rivive il sogno di tornare ad indossare l'uniforme militare.