Nella Roma vuota di agosto, più vuota di sempre per gli effetti del Covid sul turismo, fanno più rumore alcuni luoghi comuni che si mescolano alle schermaglie sul futuro politico della città. E come in tutti i luoghi comuni, anche in quelli su Roma si mescolano verità e pigrizia nel leggere i cambiamenti.

Il primo luogo comune è l’ingovernabilità della città per la sua complessità e per quell’indole dei romani, quella sorta di disincanto, che influenza negativamente, secondo questo punto di vista, il loro comportamento civico.

Ma la storia dice che Roma può essere governata e lo è stata. In alcune stagioni ha anche rappresentato un modello di innovazione sociale e politica. Non è un caso che tra il 2001 e il 2008 il Pil romano superasse quello milanese. Certo, anche se l’incapacità e l’incompetenza della giunta Raggi non hanno alibi, è vero che in altri Stati le capitali godono di legislazioni e risorse dedicate e che questo non avviene in Italia. Così come è vero che non basterà per il suo rilancio la riforma istituzionale, che pure è urgente affinché i Municipi abbiano risorse e poteri necessari all’azione amministrativa.

Ma ciò che serve alla fine di un ciclo - e siamo alla fine di un ciclo - è una nuova idea di Roma trainata dall’innovazione. E una nuova classe dirigente di donne e uomini capace di interpretarla. Orgogliosamente consapevole che la rinascita di Roma coincide con quella dell’Italia. Che amministrare Roma, esserne il sindaco o la sindaca, è un onore straordinario.

Poi vive un secondo luogo comune, intrecciato al primo. Roma è la città del pubblico impiego e della burocrazia.

Al netto della semplificazione con cui questi termini vengono utilizzati come sinonimi ineluttabili di inefficienza anziché come terreno su cui investire per aumentarne la qualità, Roma e’ la prima tra le città italiane per numero di università e centri di ricerca.

E’ la seconda per numero di sturt up; produce il 33 per cento dei laureati in medicina; è la prima città nel settore farmaceutico; e’ una eccellenza nel settore delle telecomunicazioni e dell’aerospazio. E’ la sede dei centri decisionali delle più grandi imprese pubbliche come Ferrovie e Cassa depositi e prestiti.

In altri termini: Roma può essere uno straordinario polo di formazione, innovazione e conoscenza.

Progettualità. Poi c è una considerazione semplice semplice ma decisiva, oltre i luoghi comuni. Roma ha bisogno di generosità politica. E di questo nel dibattito politico agostano c’è poca traccia. Dalla ricandidatura della attuale sindaca - inspiegabile alla luce della rottura sentimentale con la città, comprensibile nella dinamica politica del M5S - agli insulti fuori misura e davvero irricevibili rivolti da Carlo Calenda al gruppo dirigente del Pd Romano. Poco rassicuranti sulle priorità di Azione per la città. Fino ai proclami sovranisti della destra nelle sue varie forme.

Infine c’è la realtà di Roma. Con le diseguaglianze tra centro e periferia di prima della crisi sanitaria, con la devastazione del settore del turismo post Covid che costituiva più del 20 per cento del suo Pil.

Con le eccellenze e le vocazioni di cui si diceva E che oggi più che mai ha bisogno della mobilitazione di risorse e saperi locali, regionali e nazionali, guidata da una idea di città condivisa. Verso l’innovazione, che aiuta a cambiare in meglio il modello sociale e produttivo, come ci ha mostrato la pandemia. Il Partito democratico ha già detto di essere alternativo alla Raggi. Prima e dopo il voto sulla piattaforma Rousseau.

Per il giudizio sull’azione amministrativa di questi 5 anni e sulla cultura politica che l’ha ispirata. Al Pd spetta la responsabilità di aiutare a costruire quella visione del futuro creando le occasioni per riannodare i fili della città e mettere a sistema le sue intelligenze, le tante sperimentazioni innovative in più campi, la vivacità del terzo settore e della società civile. Insieme alle primarie. Insomma tutta un’altra storia rispetto ai rumors del caldo agostano.

* presidente Led, Libertà e Diritti