«Basta con i pregiudizi. Non li ha scalfiti neppure la crisi venuta dall’emergenza covid. Noi professionisti continuiamo a essere esclusi, per esempio, dai finanziamenti a fondo perduto, unici fra tutte le partite Iva. È stato il segno di una visione distorta del ceto libero professionale, come se noi avvocati e tutte le altre categorie fossimo un mondo separato, da trascurare». Maria Masi, presidente facente funzioni del Cnf, da cinque mesi fa i conti con la paradossale discriminazione riservata ancora una volta al mondo forense e agli altri ordini. «Ma ora va tramutata in valore la funzione sociale, sussidiaria, da noi svolta. Intanto», spiega Masi, «come istituzione forense stiamo per presentare al ministro Bonafede un piano di riforma della giustizia, che metta al centro del processo la effettiva tutela della persona. Chiediamo però di essere ascoltati dall’intero governo. Non per ottenere sussidi ma per vederci riconosciuto innanzitutto quanto spetta, a cominciare da atti di giustizia come il tempestivo pagamento dei compensi dovuti agli avvocati che assicurano il patrocinio a spese dello Stato».

«Traducetela in valore. Riconoscete sulla carta la funzione sussidiaria di noi professionisti? Bene. Non fermatevi alle parole. La sussidiarietà deve essere tramutata in valore. Si può considerare la via fiscale, nel caso di noi avvocati lo Stato si può intanto mettere in pari rispetto ai propri obblighi, a cominciare dal patrocinio a spese dello Stato. Va ascoltata la richiesta di differire le scadenze, come sollecitato dai consulenti del lavoro. L’importante è che la funzione pubblica, sociale, spesso appunto sussidiaria rispetto a quella statale, assolta dalle professioni trovi un posto adeguato nelle scelte del governo. A maggior ragione ora che sta per partire un grande piano di rilancio».

Maria Masi non è pessimista. È consapevole. Sa quanto l’emergenza covid, che lei vive da cinque mesi nelle vesti di presidente facente funzioni del Cnf, sia stata insufficiente a correggere un’idea sbagliata del lavoro intellettuale, e dei professionisti. «Va spezzato l’incantesimo», chiede, dopo aver unito la propria alle voci dei presidenti di tutti gli Ordini che, lo scorso 4 giugno, hanno aderito agli Stati generali delle professioni.

La crisi prodotta dal covid non ha cambiato l’idea che le istituzioni politiche hanno dei professionisti? Non si è superata l’illusione di un mondo che basta a se stesso?

Temo di no. Il segnale decisivo è il mancato riconoscimento dei finanziamenti a fondo perduto. È una scelta emblematica, perché rende plastica l’idea di una separazione dei professionisti dal resto del mondo produttivo. Una discriminazione che non si è riusciti a evitare. Come se noi avvocati, e i commercialisti, i notai, gli ingegneri, gli architetti, fossimo connotati da una natura ibrida. Ci si ricorda della nostra autonomia per escluderci, ma non per risparmiarci indebite misure di controllo, e in ogni caso intrusive.

A cosa si riferisce?

Faccio solo l’esempio di un decreto legislativo, ora in attesa di ricevere i pareri delle commissioni, destinato a recepire una direttiva europea sulla proporzionalità nell’ambito delle professioni: si tratta di definizioni di sistema rispetto alle quali per lo meno dovrebbero essere scongiurate interpretazioni lesive della nostra autonomia, ma siamo sempre, per così dire, nel mirino.

Le difficoltà della crisi post covid hanno rafforzato l’unità fra le professioni?

Sicuramente si è radicata la consapevolezza di quanto sia necessario unire le forze. Da qui ora dobbiamo trovare tutti insieme una migliore capacità di fare sintesi, e a riguardo c’è sicuramente ancora da lavorare.

L’unità è da costruire. Governo e Parlamento persistono in una certa nonchalance verso i professionisti, avvocati compresi. Come ci si difende?

Con la tutela dell’autonomia ma anche con la richiesta che venga coniugata, appunto, insieme al riconoscimento concreto della funzione pubblica da noi assolta. C’è un aspetto che certifica l’ambivalenza e l’inadeguatezza della visione prevalente sui professionisti: c’è solo un beneficio da cui non siamo stati esclusi ed è quello del bonus, partito con i 600 euro e ampliato dal decreto Rilancio. Ma in quel caso ha pesato molto la possibilità di attribuire alle Casse previdenziali di ciascuna categoria, nel caso di noi avvocati a Cassa forense, l’onere dell’erogazione materiale del sussidio. Ecco, non va bene se la nostra capacità di essere efficienti, e di provvedere ad esempio a pagare il bonus a centinaia di migliaia di iscritti, diventa l’unica occasione in cui si riconosce la nostra funzione sussidiaria. E no. Ricordatevi anche che grazie agli avvocati si garantisce la tenuta dei diritti, che grazie ai commercialisti si assicura, con sacrifici enormi del singolo professionista, il corretto rapporto fra contribuente e fisco. Dopodiché si trovi la maniera di riscontrare tali meriti, ecco. Alla luce di un simile discorso, si capisce come l’esclusione dai finanziamenti a fondo perduto del decreto Rilancio sia suonata per tutti noi come un’inaccettabile discriminazione.

Nel caso dell’avvocatura quali sono le priorità su cui dovrebbe rivolgersi l’attenzione del governo?

Fin dall’inizio non abbiamo chiesto sussidi, ci siamo limitati a sollecitare quanto spetta. Mi riferisco all’evasione dei debiti vantati dall’amministrazione nei confronti degli avvocati che hanno assicurato il patrocinio a spese dello Stato. Non appena si è entrati nella fase più aspra dell’emergenza sanitaria, è stata la prima nostra esplicita richiesta.

Il guardasigilli Bonafede ha ottenuto che fossero previsti allo scopo 20 milioni nel dl Rilancio.

Gliene diamo atto. Non è possibile dire se siano sufficienti. Si vedrà: molto dipende anche dai tempi con i quali verrà risolto, per esempio, il nodo delle procedure, assolutamente da semplificare, necessarie al singolo avvocato per ottenere materialmente la liquidazione dei compensi.

A riguardo avevate definito, col guardasigilli, un ddl.

Un testo prodotto dall’interlocuzione fra il ministro e il presidente Mascherin che in effetti era stato articolato in buona parte sulla base delle indicazioni elaborate dal Cnf, che era stato pure incardinato in commissione Giustizia e di cui era iniziato l’esame: poi l’emergenza ha paralizzato tutto. È assolutamente necessario che quel percorso riprenda, e che vi siano apportate anche le necessarie migliorie al testo.

Restano sempre da completare i correttivi all’equo compenso.

Nei mesi trascorsi, anche in quelli del lockdown, il Cnf non ha mai smesso di proseguire nel lavoro di monitoraggio sulle violazioni, condotto grazie al decisivo impegno degli Ordini e dei singoli avvocati. È evidente come il nodo riguardi la corretta applicazione dell’equo compenso da parte di tutte le amministrazioni pubbliche. L’obiettivo credo vada ricondotto a un quadro più generale.

A cosa si riferisce?

Al fatto che alcune soluzioni sono state proposte da tempo al governo da parte dell’avvocatura, innanzitutto da parte del Cnf, e che le difficoltà dell’emergenza, contingenti e derivate, imporrebbero una realizzazione di quegli interventi. Oltre che all’equo compenso, mi riferisco anche a misure come la defiscalizzazione delle spese legali e la compensazione fra imposte e crediti vantati dall’avvocato per aver assicurato il patrocinio a spese dello Stato. Ma ripeto ancora una volta: il tutto deve essere la naturale conseguenza di una scelta precisa e generale, cioè il tramutamento in valore della nostra funzione sussidiaria. Ci si arriva se si sgombra il campo dai pregiudizi nei confronti delle professioni.

Si nega il fondo perduto agli avvocati, poi però i deputati ottengono il bonus: tutto alla rovescia?

Chiariamo: sul piano dell’opportunità, dell’eticità delle condotte, è surreale che chi percepisce un’indennità da 11mila euro al mese chieda il bonus. Ed è altrettanto improbabile la replica opposta da coloro che dicono di aver chiesto il sussidio per fare be- neficenza: nessuno li aveva sollecitati a farla. Ciò detto, credo si debba poter invocare l’intangibilità del diritto senza passare per cinici. In altre parole: non si può trascurare il fatto che sul piano formale quelle istanze erano possibili perché nessuno ha pensato quanto fosse insufficiente prevedere come requisito un calo dell’attività pari al 33 per cento senza fissare anche una soglia minima di fatturato, a partire dalla quale il bonus non poteva essere concesso. È banale, ma se tu ti limiti a dire che chi perde il 33 per cento rispetto all’anno prima merita i 600 euro, di fatto prevedi di pagarli anche a chi aveva un’attività da 2 milioni di euro e, causa covid, è sceso a un milione e trecentomila. Se fai così, distribuisci a pioggia e sprechi risorse.

L’avvocatura istituzionale è preoccupata dalla crisi della magistratura?

Come abbiamo segnalato nella lettera al presidente della Repubblica, l’avvocatura segue non con curiosità ma con interesse il delicato passaggio in cui si trova la magistratura. È evidente che chi come l’avvocato è operatore del diritto, soggetto protagonista della giurisdizione, non possa restare indifferente ad alterazioni di sistema come quelle emerse. Si deve porre rimedio, e forse va anche considerato che, a maggior ragione di fonte a un quadro simile, è opportuno riconoscere anche in Costituzione l’imprescindibilità dell’avvocato. Grazie alla riforma proposta dal Cnf e apprezzata con convinzione dal ministro Bonafede.

Con il recovery fund si finanzieranno probabilmente anche le riforme del processo: teme che possa derivarne un indirizzo tutto efficientista, soprattuto sul civile?

C’è un rischio, ma come Cnf abbiamo previsto un’iniziativa rivolta proprio a promuovere scelte diverse: sulle riforme del processo abbiamo anticipato al guardasigilli la presentazione di una proposta complessiva dell’avvocatura istituzionale, che presto presenteremo. Se per efficienza si intende maggiore celerità nella definizione delle cause, siamo tutti d’accordo, perché i ritardi si traducono spesso in negata giustizia. Ma il processo, e la tutela dei diritti, non richiedono solo questo. La priorità è che al centro di tutto vi sia la persona, la sua effettiva tutela. Ed è su questo che si impernia il progetto di riforma da sottoporre al ministro: sarà il vero piano del Cnf per la giustizia.