«Abbiamo un ruolo essenziale nel tessuto produttivo del Paese, ma non ci viene riconosciuto». A dirlo sono alcune sigle rappresentative dei commercialisti (Adc, Aidc, Anc, Unagraco e Ungdcec), e il loro disappunto non è destinato a consumarsi nella semplice denuncia. Le associazioni “sindacali” hanno infatti comunicato di voler impugnare dinanzi al Tar del Lazio il provvedimento di diniego opposto a professionisti che hanno fatto istanza per ottenere i finanziamenti a fondo perduto, previsti dal decreto Rilancio per gran parte del settore autonomo ma non per il mondo ordinistico, dotato di proprie Casse previdenziali. Una discriminazione denunciata dai Consigli nazionali di tutte le categorie, dal Cndcec - l’istituzione degli stessi commercialisti - al Consiglio nazionale forense, e che è stata tra le scintille da cui si sono innescati gli “Stati generali delle professioni” dello scorso 4 giugno. «Vi è il dubbio di legittimità costituzionale per quella esclusione», secondo Adc, Aidc, Anc, Unagraco e Ungdcec. Così il ricorso al giudice amministrativo è «volto» appunto «a sollevare, di fronte al Tribunale, il dubbio di legittimità costituzionale per tale scelta. Un atto doveroso», si legge nella nota diffusa dalle associazioni, «a tutela dei commercialisti e di tutte le professioni ordinistiche, arbitrariamente estromesse dagli aiuti che lo Stato ha erogato a sostegno dell’economia nazionale, contribuendo a una inutile tensione del rapporto tra il governo e una parte importante del Paese: i liberi professionisti». Dal punto di vista dei commercialisti, l’esclusione dai finanziamenti a fondo perduto assume una connotazione particolarmente negativa considerata, dicono le associazioni protagoniste dell’iniziativa, la funzione di «fulcro nel rapporto tra Stato e contribuenti». Ma come loro stesse ricordano, la discriminazione è incomprensibile nei confronti di tutte le categorie, a cominciare da chi, come gli avvocati, ha dovuto assicurare la tutela dei diritti anche nel pieno della paralisi provocata dall’emergenza. «Vista l’indifferenza manifestata di fronte alle numerose richieste di carattere istituzionale», dicono le sigle dei commercialisti, «non ci rimane che il ricorso alle vie giudiziarie, per vedere riconosciuto un diritto elementare».