Correre sì, ma ora si esagera. Si passa dalle eterne indecisioni, dai bandi scritti male, dai rimedi discutibili — per esempio la sadica complessità del rito super speciale degli appalti, una cosa che più dei ricorsi al Tar ricorda Goldrake — al cuore gettato oltre l’ostacolo dal decreto Semplificazioni: meccanismi acceleratori per definire i ricorsi sugli appalti e rischi enormi per l’erario che, pur di andare avanti su un contratto con un’impresa, accetta, è questo l’effetto del decreto, di sobbarcarsi il risarcimento del danno all’imprenditore ingiustamente escluso. «Ed è espressamente previsto che le stazioni appaltanti possano tutelarsi rispetto a tale rischio attraverso la stipula di polizze assicurative, sicuramente onerose. In ogni caso paga la collettività», ricorda Maria Alessandra Sandulli, professore ordinario di Diritto amministrativo a Roma Tre, voce ascoltatissima nelle sedi istituzionali, forse la prima, fra gli scienziati del diritto, ad accorgersi del guazzabuglio. Le abbiamo chiesto di descrivercelo in modo del tutto sommario e divulgativo, per far comprendere quanto meno la portata delle questioni.

Cosa abbiamo combinato, con quel decreto, professoressa?

Abbiamo inciso in maniera significativa il diritto alla tutela in giudizio nel settore, non solo delle opere pubbliche, ma in generale dei contratti di appalto e di concessione stipulati dall’amministrazione pubblica con i privati, dunque anche per i contratti di servizi e di fornitura. Si tratta di un primo aspetto, ma ce ne sono altri, che ruotano certamente attorno al problema della responsabilità erariale contestabile ai funzionari pubblici, e che appunto implicano conseguenze per alcuni aspetti problematiche sul piano generale, per altri aspetti inestricabili sul piano tecnico- giuridico.

Perché abbiano ridotto la tutela in giudizio sugli appalti?

A voler descrivere in maniera estremamente sommaria e generica le novità contenute nel decreto 76 sul punto, il legislatore si è posto l’obiettivo di accelerare al massimo le procedure con cui si affida un’opera, un servizio o una fornitura a un privato. Però è legittimo chiedersi fino a che punto abbia senso esporsi a dei rischi di gravi irregolarità, e ingiustizie, aggiungendo anche ulteriori misure di compressione della tutela giurisdizionale. Le norme inserite nel decreto prevedono in linea generale che le controversie in materia di contratti pubblici siano definite in ogni caso, a prescindere dai presupposti di legge, legati al basso grado di complessità delle questioni controverse, con una sentenza in forma semplificata all’esito della camera di consiglio sull’istanza cautelare. Tale previsione implica intanto una rinuncia alla pubblicità dell’udienza.

Nelle udienze camerali il pubblico non esiste, giusto?

Certo, ma il vero nodo è nei tempi previsti per valutare e definire il ricorso avverso l’atto di affidamento firmato da un’amministrazione: a 5 giorni lavorativi dal deposito, il ricorso dev’essere subito esaminato. Consideriamo che in ogni udienza ciascun componente del collegio deve valutare almeno 7 controversie di merito, e numerose istanze cautelari, delle quali, nelle sezioni competenti, una buona parte riguarda proprio la materia degli appalti, che il decreto impone di decidere anche nel merito. Gli atti e i documenti possono essere integrati fino a un giorno libero non lavorativo prima della camera di consiglio: tanto ravvicinato è il termine consentito dal codice processuale sia per eventuali ulteriori note del ricorrente, sia per atti prodotti da chi resiste, inclusa l’amministrazione, sia per il deposito di qualsiasi documento. Pensare che un giudice possa studiare la causa in tempistiche simili, concepite per un rito sommario e non certo per la piena cognizione richiesta per il merito, è irrealistico.

E quindi? Si deciderà a caso?

Purtroppo l’implicazione oggettiva potrebbe anche consistere nella rinuncia sostanziale a una approfondita valutazione degli atti. La sola alternativa potrebbe essere la disapplicazione delle norme appena inserite nel decreto 76. Ancora: entro 15 giorni il Tar, o il Consiglio di Stato qualora ci si arrivi, deve scrivere la sentenza. Ripeto, il contesto è segnato da un’abituale molteplicità di controversie da valutare nella stessa giornata d’udienza. E ci sono ulteriori aspetti che paiono problematici.

Cos’altro?

Sempre a volerne riferire con sintesi estrema, si interviene sull’obbligo di stipula del contratto in pendenza di ricorso, con riferimento all’articolo 32 del decreto legislativo 50/ 2016. Viene affermato che la mancata stipula del contratto deve essere motivata con specifico riferimento al contrapposto interesse alla sollecita esecuzione del contratto e, come lei ricordava, tale mancata stipula, ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto, non può essere giustificata dalla pendenza di ricorso. È così salvo il caso di sospensione ex lege, per lo standstill o per ordine del giudice. Ma ricordo che il decreto è intervenuto anche sul già ridotto potere giurisdizionale di sospensione. E non ha risolto un serio problema di coordinamento tra standstill e decorrenza del termine per ricorrere.

Se a cose fatte si scopre che l’impresa ricorrente aveva ragione?

In base alle disposizioni contenute nel decreto, potrebbe finire per ottenere solo il risarcimento del danno. Con buona pace delle direttive europee che hanno chiesto agli Stati di garantire una tutela caducatoria e cautelare proprio per evitare che la corsa al contratto consenta, alle decisioni violative delle direttive sostanziali, di produrre efffetti. Peraltro, l’articolo 4 ha ampliato i casi in cui la stipula rende estremamente difficile annullare il contratto. Ha infatti esteso ai cosiddetti appalti urgenti covid, anche per servizi e forniture, i limiti previsti per le infrastrutture strategiche dall’articolo 125 del codice processuale. Naturalmente potrebbe trattarsi di ristori onerosissimi. E così si è ritenuto di prevedere la sollecitazione alla stipula di polizze assicurative, che saranno comunque costosissime.

Le compagnie esulteranno. Il guazzabuglio è finito?

È riemerso un problema relativo al termine per ricorrere, che l’articolo 120 comma 5 codice del processo amministrativo fissa per in relazione a un atto di affidamento, anche per i motivi aggiunti, in 30 giorni dalla comunicazione che la stazione appaltante aveva l’obbligo di trasmettere ai partecipanti, in base al vecchio codice del 2006. Ma la norma non è stata adeguata alla diversa disciplina degli obblighi comunicativi dettata dal nuovo codice dei contratti del 2016. Tanto che, proprio nello scorso mese di marzo, un Tar, quello di Lecce, ha rimesso la disposizione alla Consulta proprio riguardo a tale lacuna. Della stessa controversa questione si è occupata pochi giorni fa l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale ha correttamente richiamato la necessità, indicata anche dalla Corte di Giustizia UE, che il termine decorra dalla conoscenza anche delle motivazioni della scelta e degli atti ad essa presupposti. La stessa Plenaria ha sollecitato l’intervento del legislatore, che però nel Dl Semplificazioni ha perso un’importante occasione per adeguare la norma. È quindi auspicabile che vi provveda quanto meno il Parlamento in sede di conversione. E che si occupi anche del necessario coordinamento con la disciplina dello standstill la quale, per quanto detto sopra e come ricordato dallo stesso articolo 4 del Dl 76, impatta sulla responsabilità erariale e disciplinare del funzionario preposto. Tutti i vari problemi di cui abbiamo accennato dovrebbero essere attentamente considerati in sede di conversione, se con la semplificazione vogliamo assicurare anche certezza del diritto e buona amministrazione, che necessariamente impongono una effettiva tutela giurisdizionale avverso le decisioni amministrative.