Alla notizia del colpo di Stato del 2 dicembre 1851 effettuato da Luigi Napoleone, l’Assemblea nazionale – così raccontano le cronache dell’epoca – era così contenta che stentava a manifestare il proprio entusiasmo.

Ora, Giuseppe Conte non è un golpista. E semmai dovesse paragonarsi a qualcuno, lui che ama lo Storia con la esse maiuscola, penserebbe a Napoleone, il Grande, e non all’altro, Le petit, che ricorda una nota marca farmaceutica. Uno stato d’emergenza controproducente e una maggioranza ormai ostaggio di Conte

Alla notizia del colpo di Stato del 2 dicembre 1851 effettuato da Luigi Napoleone, l’Assemblea nazionale – così raccontano le cronache dell’epoca – era così contenta che stentava a manifestare il proprio entusiasmo.

Ora, Giuseppe Conte non è un golpista. E semmai dovesse paragonarsi a qualcuno, lui che ama lo Storia con la esse maiuscola, penserebbe a Napoleone, il Grande, e non all’altro, Le petit, che ricorda una nota marca farmaceutica. E lo stato di emergenza che il Consiglio dei ministri si accinge a dichiarare non è un colpo di Stato.

Dopo tutto, la storia si manifesta una prima volta in tragedia e una seconda in farsa. Come sosteneva il vecchio Marx. A scanso d’equivoci, Karl e non Groucho. Eppure anche questa maggioranza giallo- rossa ( col trattino!) alla notizia della proroga dello stato d’emergenza ha fatto fatica a manifestare la propria gioia. La verità è che lo stato di emergenza è inutile in quanto un puro e semplice flatus vocis. Inutile, perché per le emergenze la Costituzione, una fonte del diritto sovraordinata al codice della protezione civile, già prevede la decretazione d’urgenza. Uno strumento normativo da utilizzare con giudizio. E per l’appunto basterebbe un decreto legge per prorogare le misure che altrimenti decadrebbero alla scadenza del 31 luglio. Come ha notato Sabino Cassese, lo stato d’emergenza è poi illegittimo perché carente del presupposto e inopportuno perché produce tensioni. E per di più controproducente perché, nell’orbe terracqueo, siamo una mosca bianca.

Lo stato d‘ emergenza ormai lo abbiamo solo noi. E ci fa apparire agli occhi del mondo intero una sorta di lazzaretto. Con danni enormi al turismo e alla ripresa economica.

C’è poi l’aspetto politico. Anche ora che è sulla cresta dell’onda, Conte in Parlamento si muove con qualche impacccio o, forse, con sopraffina astuzia di sapore andreottiano. Non a caso è stato ribattezzato il Machiavelli del Tavoliere delle Puglie. Si è presentato bel bello l’altro ieri e ieri alle Camere come se la sua fosse una benevola concessione. E invece è vincolato da un ordine del giorno a firma Tomasi, Ceccanti, Ferri e Russo, tutti esponenti della maggioranza, accolto dal governo nella seduta della Camera del 19 luglio. E che, con puntiglio e una punta di perfidia, Ceccanti ieri ha rammentato a un Conte che sembrava recitare da consumato attore la parte dello smemorato di Collegno.

Già che c’era, Conte è scivolato un’altra volta. Quando ha detto che, facendo eccezione alla regola, avrebbe replicato a chi era intervenuto nel dibattito. La replica appartiene al galateo parlamentare. Perché, se non ci fosse, avremmo un dialogo tra sordi. Prenda esempio, il presidente del Consiglio, da Andreotti, che nelle repliche dava il meglio di sé stesso. Rispondeva, a uno a uno, a tutti gli oratori. Con particolare attenzione ai parlamentari di opposizione. Per ingraziarseli, lui uomo della previdenza, nel caso che occorressero dei “responsabili” a sostegno del governo.

La maggioranza pensava di aver fatto di Conte un prigioniero. E invece, come Pulcinella alla guerra, ne è diventata ostaggio. E più l’uno va su, più l’altra va giù. È per questo che nei due rami del Parlamento ha presentato una risoluzione che sembra scritta dall’opposizione. Tanti sono flebili i sì e ruvidi i ma. Difatti impegna il governo a non superare il termine del 15 ottobre, ad avvalersi di norme primarie per limitare eventualmente le libertà fondamentali, a coinvolgere al meglio il Parlamento, ad assicurare il più tempestivo ritorno alla normalità e l’ordinato avvio a settembre dell’anno scolastico, a garantire il regolare svolgimento delle campagne elettorali e referendaria del 20- 21 settembre in spazi idonei preferibilmente non all’interno degli edifici scolastici. E via di questo passo.

Il professor Ceccanti, oltre a essere un autorevole costituzionalista, come tutti gli uomini di sinistra a volte indulge nel politichese. Così ieri a Montecitorio, per indorare la pillola al presidente del Consiglio, ha parlato di terza via. Né un aperto sì né un rotondo allo stato d’emergenza. Ma, per l’appunto, un sì ma. Lui la chiama terza via. Ma dà tutta l’aria di una gabbia nella quale costringere l’amato presidente del Consiglio ad addivenire a più miti consigli. L’importante, si sa, è volersi bene…