Sulla carta lo stato d'emergenza è stato prorogato fino al 15 ottobre. Di fatto il voto di ieri sigla piuttosto la fine di quello stato d'eccezione. La proroga era già stata ' tagliata' rispetto al progetto iniziale, che prevedeva la scadenza del 31 dicembre. La decisione di non affidare la decisione al governo ma di lasciarla nelle mani del Parlamento, con apposita mozione di maggioranza era a sua volta eloquente. La maggioranza ha completato l'opera inserendo nella mozione stessa i paletti necessari per limitare di fatto al massimo i poteri emergenziali conferiti al governo e al suo capo. L'intenzione palese della maggioranza era mettere al sicuro la possibilità di reagire tempestivamente a una temuta e possibile seconda ondata della pandemia in autunno, ma allo stesso tempo di chiudere l'era dei dpcm, delle decisioni prese solo dal presidente del consiglio.

E' un segnale particolare che acquista però significato generale. I margini di manovra di Conte si stanno assottigliando. Si avvicina il momento i cui dovrà fare scelte strategiche invece di limitarsi, come ha sempre fatto sinora, a cogliere le opportunità di volta in volta offerte dalla fase politica. Cioè di puntare tutto sulla tattica evitando di compromettersi in decisioni strategiche di lungo periodo. L'avvocato arrivato per caso a palazzo Chigi ha dimostrato di padroneggiare quel gioco tattico con una maestria insospettabile. Appoggiandosi ora all'uno ora all'altro partito della maggioranza ha saputo cogliere al volo ogni occasione non solo per tenersi a galla e sopravvivere al crollo del suo primo governo ma anche per acquistare un peso specifico crescente e ormai determinante.

Il limite è che quell'assenza quasi programmatica di una visione strategica ha, sì, permesso a Conte di tenersi in sella e di accrescere il proprio ruolo e il proprio potere, impedendo però alla maggioranza raccogliticcia che da un anno sostiene il suo secondo governo di trasformarsi in una vera coalizione e, a maggior ragione, di allargare i propri confini. Nei prossimi mesi, entro l'autunno e probabilmente anche prima, Conte dovrà decidere se provare a fare di questa maggioranza una vera coalizione, sotto il segno di un europeismo depurato da quel tanto di sospettosità e diffidenza che ancora permane in una parte sostanziosa del M5S oppure se difendere l'unità del movimento sacrificando ogni possibilità di dar vita a una futura coalizione in grado di governare il Paese sulla base di una vittoria elettorale.

La partita del Mes, al netto del suo significato concreto, è questa ed il premier dovrà risolvere il dilemma nel giro di un paio di mesi. Rifiutare il prestito, come esige il M5S, non implicherebbe probabilmente la caduta immediata del governo ma renderebbe impossibile confermare e rinsaldare l'alleanza. Per il Pd e per i centristi, che saranno quasi certamente indispensabili anche dopo le prossime elezioni quel rifiuto verrebbe considerato prova definitiva dell'inaffidabilità europeista dei 5S e dell'incapacità del premier di averne ragione. Accettare il prestito significherebbe assicurare un futuro di coalizione alla maggioranza e blindare il proprio ruolo come unico candidato premier possibile. Il prezzo sarebbe però mettere il Movimento a rischio di deflagrazione e di conseguenza mettere in pericolo questo governo, questa maggioranza e questa legislatura.

A questo già ingrato dilemma se ne aggiunge un altro. La possibilità non di allargare subito la maggioranza ma di creare un'area europeista composta dalla maggioranza stessa e, al suo esterno, da Fi è concreta e, nonostante le smentite stentoree ma di rito, visibilmente perseguita da Renzi e dallo stesso Berlusconi. Sn qui Conte ha sempre evitato di fare passi concreti e reali in quella direzione per paura di scontentare i 5S. Ma quell'apertura si configura oggi come la strada principale per blindare una maggioranza sempre fragile e soprattutto per aprire una prospettiva ampia dopo le prossime elezioni, che non potranno essere evitate all'infinito.

Anche in questo caso Conte deve scegliere tra la difesa dell'unità del Movimento, e dunque tra la sicurezza del suo governo oggi, e l'apertura di una prospettiva tale da andare oltre i prossimi mesi o i prossimi due anni. Finora ha potuto evitare quella scelta comunque rischiosa. Presto, anzi prestissimo non potrà più farlo.