Alla fine l’unico voto sarà sulla seguente richiesta: «Volete o no, voi deputati, rimettere la separazione delle carriere in freezer?». Finale già scritto, anticipato ieri in aula da tre autorevoli esponenti della maggioranza, nel giorno in cui finalmente la legge costituzionale di iniziativa popolare promossa dall’Unione Camere penali atterra nell’emiciclo di Montecitorio.

Il primo è Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari costituzionali, dove la riforma è rimasta a galleggiare per quasi un anno e mezzo, unico rappresentante 5 stelle a intervenire nella discussione generale. Il secondo è Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato pd, autore di una battuta rivelatrice: «La Corte costituzionale ha già chiarito nel 2000, quando ha dichiarato ammissibile il referendum dei radicali, che quasi tutte le norme contenute nel ddl vanno discusse come leggi ordinarie, tranne lo sdoppiamento del Csm».

Il terzo indizio che fa la prova viene da Alfredo Bazoli, capogruppo dem in commissione Giustizia, il quale dice che la terzietà del giudice «è principio impossibile da elidere» ma anche che per ripristinarlo ci si dovrà affidare a interventi meno strutturali rispetto alla separazione delle carriere, contenuti nella riforma penale e in quella del Csm (che arriva da qui a poche ore in Consiglio dei ministri).

Come nella barzelletta del bunga bunga

Tutti e tre danno per scontato che il «rinvio in commissione», in arrivo giovedì, sia una scelta saggia, declinata anzi da Brescia come male minore: «Altrimenti in Aula verrebbero messi in votazione emendamenti soppressivi dell’intero testo». Pare la barzelletta del bunga bunga: “Come volere morire, mediante turmiento o, appunto, con quell’altra roba lì?...”. L’alternativa è tra essere ammazzati subito, ma almeno togliersi lo sfizio di un minimo di confronto vero nel sacro emiciclo di Montecitorio, o essere invece riportati in corsia, cioè in commissione, in attesa di un «accordo in maggioranza», auspicato anche da Federico Fornaro di Leu, che in realtà non arriverà mai.

A parte la fredda informativa di Brescia, i pentastellati neppure spiegano la loro idiosincrasia, ma tace pure Italia viva, che si riunirà stasera per valutare una comunque inutile dissociazione dagli alleati. A capire che in ogni caso la riforma sta per essere giustiziata è Francesco Paolo Sisto, penalista finissimo ed esponente di FI, partito che più di tutti ha difeso la riforma degli avvocati: «Tornare in commissione per uccidere l’articolo 111 della Costituzione sarà un omicidio costituzionale gravissimo». Aggiunge una stilettata al curaro tutta per i dem: «Voi col Movimento 5 Stelle ci andate a braccetto per non perdere il governo». Ma forse la verità è nelle parole di Bazoli: «Le grandi riforme di sistema devono essere accompagnate da un largo consenso anche tra i protagonisti della giurisdizione: dobbiamo chiederci se abbia senso innescare una reazione da parte della magistratura, compattamente contraria a questa riforma».

Le tre subordinate (o palliativi?) alla separazione delle carriere

Sempre il capogruppo dem in seconda commissione evoca tre subordinate (ma verrebbe da dire palliativi) alla legge promossa dall’Ucpi: «Più finestre di controllo del giudice in fase di indagini, soprattutto sulla data di iscrizione a registro degli indagati», e questa è inserita nel ddl penale; poi una più rigida «separazione delle funzioni», che invece è nella delega in arrivo sul Csm, dove i passaggi massimi consentiti da pm a giudice e viceversa dovrebbero ridursi a due (sic!), e infine i «filtri alla obbligatorietà dell’azione penale, necessari per una maggiore trasparenza».

Note che fanno il paio con quella di Ceccanti sulla sentenza costituzionale del 2000. Ceccanti stesso riconosce «il diritto dei promotori e delle opposizioni a discutere il testo nella forma che loro hanno voluto». Chissà se giovedì verrà almeno consentito un simile onore delle armi.