L’alimentazione vegana nel formante giurisprudenziale: una comparazione italo- inglese. Una recente pronuncia, emanata il 9 aprile 2020 dal Giudice del Tribunale di Bologna, sezione per le controversie di lavoro, ha riconosciuto che il regime alimentare vegano è determinato da convinzioni di natura etica, filosofica e/ o religiosa, e come tale rientra nell’ambito della libertà di pensiero costituzionalmente garantita.

La vicenda riguardava una docente di scuola primaria, che chiedeva di potere accedere al pasto vegano alla mensa scolastica. Tale tipologia di alimentazione è riconosciuta ai bambini che frequentano la scuola, sulla base delle Linee guida per la ristorazione scolastica e l’acclusa Nota ministeriale, ma nulla è detto esplicitamente per il personale docente. La maestra, dopo richieste rimaste senza esito, conveniva in giudizio il MIUR ( Ministero dell’Istruzione), l’Ufficio scolastico regionale della Regione Emilia- Romagna, nonché il Comune di Bologna quale datore di lavoro. Il giudice – come detto – ha accolto la domanda attrice.

L’arresto giurisprudenziale italiano nella materia de qua sembra rilevante, in quanto costituisce probabilmente il secondo caso giudiziario del genere a livello mondiale. La citata sentenza del 2020 del Tribunale di Bologna- Giudice del lavoro ha, infatti, un precedente significativo, rappresentato dalla decisione del Tribunale del lavoro di Norwich, in Inghilterra, nella controversia J. Casamitjana Costa v. The League Against Cruel Sport. La decisione inglese è del 3 gennaio 2020, e si tratta esattamente di un preliminary hearing judgement. La pronuncia d’oltremanica è di notevole interesse, nella prospettiva in esame, poiché afferma espressamente che il veganismo etico è una credenza filosofica, la quale merita protezione ai sensi della section 10 dell’Equal Act del 2010. Il ricorrente, nella procedura inglese, si è avvalso del witness statement della dott. ssa Jeanette Rowley, in rappresentanza della Vegan Society.

Il ricorrente inglese è uno zoologo, diventato prima vegetariano e quindi, dal 2000, vegano. Il richiedente ha smesso di consumare prodotti di origine animale, incluso il pesce, e inoltre niente latte, uova, miele, ecc. Si è sbarazzato di vestiti contenenti prodotti che derivano da animali. Ha progressivamente eliminato dalla propria casa i prodotti derivanti da animali. Nel giro di poco tempo, nella casa dello zoologo erano rimasti soltanto alcuni oggetti con prodotti animali, quali vestiti di lana, cinture di pelle e scarpe che egli aveva intenzione di utilizzare fino a quando non si fossero logorati, ma che invece decise alla fine di buttare via, ovvero di donare a enti di beneficenza qualora fossero ancora in buone condizioni.

Assai istruttivi sono i passaggi della decisione inglese in cui si afferma che il concetto di veganismo è radicato nell’antica nozione di Ahimsa, che è elemento essenziale della religione indiana del Giainismo. Ahimsa è parola che deriva dal sanscrito, e significa «non danneggiare». Il suo contrario è Himsa, «recare danno, lesione». Ahimsa è una delle virtù cardinali non soltanto del Giainismo, ma anche dell’Induismo e del Buddhismo. Si tratta di un concetto multi- dimensionale, che muove dal convincimento per cui tutti gli esseri senzienti hanno la scintilla della divina energia spirituale e quindi ferire un altro essere è ferire sé stessi. Il veganismo etico, dunque, non riguarda unicamente le scelte dietetiche, ma la ben più radicale scelta di vivere, per quanto possibile, senza l’uso di prodotti animali. Esso è tutelato, perciò, dalla section 10 dell’Equality Act del 2010, nella misura in cui è inquadrabile tra le religioni o credenze.

Per il giudice inglese, il veganismo etico «is not simply a viewpoint, but a real and genuine belief and not just some irrational opinion». Il magistrato di Bologna sembra avere seguito questa impostazione.