La notizia delle sentenze scritte il giorno prima dell’udienza di discussione si è sparsa nelle calli di Venezia e da lì si è divulgata in tutta Italia. Venezia è sempre stata, anche in tempi non sospetti, la città delle maschere ma quest’anno il Carnevale è finito due giorni prima del Martedì Grasso e certi segreti sono venuti allo scoperto. Come in una commedia dell’avvocato Carlo Goldoni le virtù non proprio eroiche di una signora sposata si sono risapute in giro e, anche per tutelare il buon nome di famiglia, si è gridato giustamente allo scandalo. Ma certe abitudini non sono solo venete e non sono neppure nuove : ricordo che i miei maestri mettevano una spilla o un tocco di colla tra le pagine dei loro atti per controllare che il giudice li avesse effettivamente letti ; qualche volta li ritiravano dalla cancelleria intonsi, come erano usciti dallo studio.

Oggi l’informatica non consente più certe astuzie, ma alcune sentenze uscite velocemente come Minerva dalla testa di Giove il giorno dopo la scadenza dei termini o addirittura miracolosamente estese contestualmente in ambito penale dopo una brevissima Camera di Consiglio muovono gli incalliti scettici a dubitare della verginità del convincimento del Collegio giudicante prima della udienza di discussione. Rammento però il monito mistico di un grande laico, come Piero Calamandrei affisso a mo’ di incoraggiamento all’uscita della Corte fiorentina: «Come tutte le divinità la Giustizia appare solo a chi crede». Occorre allora conciliare fede e ragione e cercare di valutare il valore teologico del dogma della verginità del convincimento del giudice.

La posizione ortodossa è quella che vuole che l’organo giudicante, sia uno o trino o più ampiamente composto ( ferma restando la sostanza della unità del suo convincimento pur nella diversità delle nature umane di chi lo compone) arrivi immacolato in udienza e concepisca la sua convinzione sui fatti di causa solo dalla bocca purissima del Pubblico Ministero e da quella più rotonda dei difensori ovvero se la trattazione scritta, solo attraverso la virtuosa impollinazione dell’inchiostro degli atti difensivi. E’ una concezione bellissima che rappresenta l’apoteosi del difensore, che sente su di sé e sulle sue fragili spalle il peso del destino ; dall’aggettivo che sceglie o dal tono stesso con cui enuncia la sua tesi può dipendere l’esito ultimo : dannazione o salvezza. Ma spesso la Giustizia odierna è meno casta di quella idealizzata da Calamandrei nei suoi anni ; del resto allora il modello sociale di riferimento era Santa Maria Goretti ( lo restò per molti anni tanto che fu proposta da Berlinguer come modello per le donne comuniste ), mentre ora siamo passati a Lady Gaga.

Non è detto che sia necessariamente un male. Fuori di metafora, anche solo trent’anni fa il numero di avvocati era dieci volte più basso di oggi e i reati erano ancora quelli del Decalogo di Mosè. Oggi l’ampliamento delle condotte criminose, dai reati ambientali a quelli tributari, ha fatto aumentare a dismisura il carico di lavoro dei giudici. Quando ho iniziato la professione il massimo della tecnologia erano i registratori e le cassette VHS ; oggi minuscole chiavette USB condensano migliaia di intercettazioni telefoniche che trascritte occuperebbero stanze intere. E’ evidente che il Giudice non può farsi neppure un’idea del processo che decide senza aver avuto qualche esperienza di contatto con il materiale probatorio.

A questo punto sarebbe molto più onesto prendere atto di questa evoluzione del costume giudiziario e ridefinire l’ambito della discussione orale.

Invece di “dare per letta “la relazione introduttiva o ridurla a una asettica esposizione delle ragioni delle parti e quindi costringere in pochi minuti l’avvocato a dire tutto con il rischio di non dire niente e soprattutto di trascurare l’aspetto sul quale ci sono ancora margini di dubbio, sarebbe preferibile che il Giudice dichiarasse di aver raggiunto una convinzione di massima su alcuni punti e di indicare quelli sui quali le parti possano dare un contributo.

Cadrebbe il mito dell’immacolata concezione delle sentenze , ma forse ne beneficerebbe il lavoro di tutti. Del resto quello che ho esposto è un’idea di Calamandrei; evidentemente anche negli anni suoi le verginità giudiziarie erano rare.