Il vaccino sviluppato da Astrazeneca in collaborazione con lo Jenner Institute dell’università di Oxford, con il coinvolgimento anche dell’azienda italiana Irbm, sembra funzionare contro Covid-19: è sicuro e produce una risposta immunitaria contro la malattia, secondo i risultati delle prime fasi di sperimentazione pubblicati su "Lancet". Risultati molto promettenti, dunque, anche se ancora preliminari. Secondo il trial clinico in corso su 1.077 volontari adulti sani, il vaccino ChAdOx1 «induce una consistente risposta da parte di cellule T e anticorpi» , spiegano i ricercatori, sottolineando che la risposta immunitaria «potrebbe essere anche più forte dopo una seconda dose», secondo i risultati di uno studio clinico su un piccolo sottogruppo di partecipanti, una decina di persone.

Il vacccino che parla italiano

ll nome, come sempre nelle fasi di sperimentazione, è impronunciabile: ChAdOx1 nCoV-19. Ma il vaccino messo a punto nei laboratori dello Jenner Institute dell’Università di Oxford, in collaborazione con l’Oxford Vaccine Group, e con il rilevante contributo tutto italiano della Irbm di Pomezia, è una delle speranze più concrete per debellare il coronavirus. Lo testimoniano gli ingenti fondi stanziati da Gran Bretagna e Usa, senza ancora avere la certezza della reale efficacia, a cui ha replicato il mese scorso l’accordo firmato da Italia, Germania, Francia e Olanda per distribuire in Europa 400 milioni di dosi. Di certo i risultati, ottenuti a tempi di record, sono promettenti: dopo aver dimostrato sicurezza ed efficacia sugli animali, la sperimentazione sull’uomo del candidato vaccino italo-britannico è entrata in una fase cruciale. Già svolti i test sui primi volontari, infatti, è scattata la somministrazione su diecimila persone, per un ampio studio di fase II/III da cui si attende il responso definitivo, previsto prima dell’inverno, ma i cui risultati preliminari, si legge oggi su Lancet, parlano già di «una forte risposta immunitaria». Il vaccino si basa sulla tecnica del «vettore virale», ossia l’utilizzo di un virus simile a quello che si vuole prevenire ma non aggressivo, a cui si «incollano» le informazioni genetiche che si spera facciano scattare la risposta immunitaria dell’organismo.