Non credo che la riforma elettorale sia in cima alle preoccupazioni degli italiani prostrati da mesi di lockdown, settimane di violento risveglio in un film- disastro come quelli che raccontano di storie post atomiche, e oggi sbattuti in un mondo difficile, come diceva Tonino Carotone, “felicità a momenti e futuro incerto”. Dunque il tema probabilmente non trascina le folle- che peraltro dovrebbero mantenere il giusto distanziamento sociale- epperò resta, da 27 anni a questa parte, “il tema” della politica italiana, che, con gioiosa alacrità riformistica, si è prodotta in tutta la possibile gamma di peggioramenti in ben cinque occasioni.

Guadagnandosi il primo posto nel mondo democratico per attitudine a generare mutamenti compulsivi delle leggi elettorali, fatti a colpi di maggioranza, nell’illusione della medesima di poter riparare, con un aggiustamento alle regole, il deficit di consenso nel corpo elettorale. Maggioranze, poi, puntualmente smentite dall’inesorabile legge dell’eterogenesi dei fini, ovvero: chi pensa di aggiustarsi la legge elettorale per “aiutarsi” alle elezioni, poi perde sempre. Siamo alla vigilia di un’altra momento di ebbrezza riformistica, resasi, però, necessaria a causa del possibile esito positivo del referendum sul taglio dei parlamentari approvato dalle Camere negli scorso mesi in un empito iconoclasta. In concreto: se si passa da 630 deputati a 400 bisogna eliminare il “di più”, pari a 230 seggi, dalla legge elettorale vigente, il cosiddetto “Rosatellum”, e così occorrerà fare per il Senato, che passerebbe da 315 a 200 rappresentanti.

Insomma la nuova legge elettorale, ove mai il popolo manifestasse il suo assenso alla forma bonsai del nuovo Parlamento, dovrebbe spazzar via 345 parlamentari. Il che può avvenire in due modi: o lavorando sul testo della legge in vigore, che prevede una quota prevalente di proporzionale con liste bloccate ed una, pari a circa il 36%, di collegi uninominali eletti con sistema maggioritario, oppure impostando un impianto totalmente nuovo, per filosofia e formula matematica. La scelta che era parsa prevalere sarebbe quella più semplice e funzionale dell’adattamento del Rosatellum all’ ipotetica nuova configurazione numerica, se dovesse passare il taglio dei parlamentari. Infatti eliminando la quota del maggioritario ( i collegi uninominali) resta quasi intatta la distribuzione della rappresentanza sul territorio effettuata col sistema proporzionale ( le liste bloccate). Insomma un intervento minimalista, sostenuto dal M5S ( la proposta è a firma del Presidente della Commissione Brescia, del movimento) e condiviso dal Pd.

Certo, non tutto scorreva liscissimo nell’impianto proposto: il sistema proporzionale è a lista bloccata e non consente all’elettore di scegliersi il candidato; la soglia di sbarramento è anomala ( al 5%) in un ordinamento elettorale italiano che ad ogni altro livello adotta soglie di accesso più basse, e dunque rischia di non dare rappresentanza adeguata a formazioni politiche che raggiungano il milione e seicentomila voti di preferenza; non è previsto alcun incentivo per favorire l’alleanza tra le forze politiche, creando, così, il pericolo di un nuovo stallo- simile a quello che ha segnato l’avvio di questa legislatura- nel Parlamento in attesa di maggioranze di governo “politicamente coerenti”. Ma, a parte i margini di migliorabilita’ della proposta in discussione, le critiche nette dell’opposizione e i mugugni a mezza bocca dei maggioritaristi di maggioranza, la base su cui si dibatteva era quella.

Poi una virata: da un lato la spinta ad approvare il provvedimento entro agosto ( il M5S), dall’altro il nuovo paletto di un alleato di governo, Renzi, che rilancia sul maggioritario, mentre il PD si fa attendista. In realtà non si capisce la concatenazione logica di questa accelerazione, che sembra dare per scontato l’assenso popolare al taglio dei parlamentari.

Ma il referendum si tiene il 20 settembre e attendere la pronuncia popolare non è solo buona norma di galateo istituzionale, ma anche, direi ai più motivati fautori del “taglio”, una precauzione di tipo apotropaico: mettiamo che gli italiani non ci credano a questo taglio, che succede? Un’altra legge elettorale ancora? Improbabile? Forse. Ma va ricordato che solo tre anni fa Renzi aveva di fatto abolito il Senato, sostituendolo con un arengario ristretto di consiglieri regionali “a gratis”( li pagavano le Regioni). Gli italiani al referendum dissero no. E adesso Renzi fa il senatore.