Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento del segretario generale Anf sulle modifiche, previste nel ddl di conversione del Dl Rilancio, in materia di udienze a trattazione scritta nella fase post emergenziale.

Oggi dovremmo salutare con favore il ritorno alla normalità; in realtà, solo a settembre inoltrato potremo dire se la ripresa delle attività nei tribunali sarà stata reale o puramente formale.

Il mese di luglio si apre anche con la notizia dell’imminente emendamento, in sede di conversione del Dl “Rilancio”, con cui il governo intende sperimentare, sino al 31 dicembre 2021, alcune delle misure introdotte nella fase emergenziale; al riguardo, quanto al processo civile, all’udienza a trattazione scritta e a quella da remoto, alcune considerazioni sono invece già possibili.

Una premessa è necessaria: bisogna sempre tenere a mente i momenti in cui si articola il processo, i diversi riti previsti dal codice, la circostanza che alcune udienze ( anche in relazione alla materia trattata) non necessitano della presenza o della trattazione da remoto potendo contare unicamente su note scritte ( per esempio, l’udienza di precisazione delle conclusioni) e che altre non possono tenersi da remoto. Ciò detto, è noto il testo della prima di tante formulazioni dell’annunciato emendamento.

Il messaggio “politico e processuale” che sta passando, anche sulla scorta di un distorto ricorso all’udienza a trattazione scritta e alla proliferazione dei protocolli nel periodo di emergenza sino all’ 11 maggio, è quello di una precisa volontà di allontanare ( non solo fisicamente) gli avvocati dai tribunali, dall’udienza e dal rapporto con il giudice. La negatività del messaggio trova conferma nelle disposizioni dell’emendamento che ancora una volta riconoscono al giudice di poter discrezionalmente disporre il ricorso all’udienza a trattazione scritta, senza alcuna istanza ad hoc del difensore e/ o senza che questi possa opporre il suo rifiuto. Questa impostazione, non condivisibile, va completamente rovesciata.

Innanzitutto, dal punto di vista organizzativo, il ricorso all’udienza a trattazione scritta, con deposito di note e memorie multiple, è destinato a gravare sulle cancellerie: accettazioni continue degli atti, loro trasmissione al giudice, repliche delle parti alle note scritte, ancora altri interventi sui registri informatici per curare comunicazioni e notificazioni. Insomma, alla fine, mettendo da parte ogni riflessione sullo smart working nei palazzi di giustizia, avremmo una iper- burocratizzazione del processo contraria alla semplificazione che il telematico deve viceversa assicurare. Il secondo aspetto, importante quanto il primo, riguarda la necessità di non eliminare il rapporto tra avvocati, da un lato, con gli uffici giudiziari, l’udienza e il giudice, dall’altro.

Quindi, una possibile proposta per la sperimentazione sino al 31 dicembre 2021: l’udienza in presenza rimane la regola, la seconda regola è quella di ricorrere all’udienza da remoto ( nei limiti di cui si dirà successivamente) e solo in via residuale, ove vi sia richiesta congiunta delle parti, ricorso all’udienza con trattazione scritta. In tutti i casi, fatta salva la premessa iniziale: salvaguardia del contraddittorio, effettiva partecipazione, libera volontà, disciplina con norma primaria delle udienze da remoto e di quelle a trattazione scritta. Quanto alle udienze da remoto, la formulazione dell’emendamento ad oggi nota rimette la possibilità di ricorrervi solo al giudice, non potendo essere richiesta dalle parti; una simile previsione è inutile tanto quanto quella adottata in fase emergenziale.

Viceversa, nel processo amministrativo, sino al 31 luglio 2020, se vi è un’istanza congiunta dalle parti, il giudice l’accoglie puramente e semplicemente; se l’istanza proviene da una parte soltanto, il giudice la valuta e, se la ritiene necessaria, dispone procedersi da remoto. Inoltre, la può sempre disporre se ritenuta necessaria.

In altre parole, nel processo amministrativo, se le parti congiuntamente, chiedono la trattazione da remoto, il presidente non può negarla; cioè, vi è un ruolo attivo degli avvocati. Nel processo civile, stando alla formulazione in commento, è il giudice che decide e può anche ignorare la volontà delle parti; la disposizione non è chiara e ripropone sostanzialmente la previsione attuale, lasciando presagire che, così come avvenuto nel periodo di lockdown, anche in presenza della volontà di tutte le parti di ricorrere all’udienza da remoto, nulla succeda.

Quindi, in questo caso, la proposta è quella di una formulazione della norma chiara e precisa per il processo civile con la possibilità per le parti di chiedere l’udienza da remoto e il dovere del giudice di adottarla.

In questi termini, l’udienza da remoto, che peraltro costituisce una delle evoluzioni naturali del processo telematico, realizza una duplice finalità: assicura con garanzie “la presenza e l’attività in udienza” dei difensori e, sotto il profilo organizzativo, con dotazioni ad hoc, non crea inutili intasamenti nella gestione dei fascicoli e dei registri informatici. Sembra essere tornati indietro nel tempo; a quando, alla vigilia dell’introduzione del Pct, si dovevano vincere le ultime resistenze di avvocati, magistrati e operatori di cancelleria. Il processo civile telematico è stato una positiva conquista e il percorso, irreversibile, deve essere completato cominciando dalla telematizzazione degli uffici del giudice di pace.

Dinanzi a noi, quindi, c’è una nuova sfida e oggi come allora abbiamo il dovere di proporre alla politica e al legislatore contenuti compatibili con la nostra funzione e con la modernità, anche tecnologica, che avanza; diversamente, con un atteggiamento per nulla propositivo, ne saremo travolti e, con noi, sarà travolto il futuro del processo civile.

* Segretario generale Anf -Associazione nazionale forense