Il diritto al gratuito patrocinio, per i cittadini extracomunitari, non può dipendere dall’inerzia del Paese di provenienza nel fornire la documentazione richiesta relativamente al possesso dei requisiti richiesti.

È questo il dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal Tar del Piemonte, che ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla legittimità della disciplina del Testo unico delle spese di giustizia, laddove, all’articolo 79, comma 2, richiede al cittadino straniero un’ulteriore prova del possesso dei requisiti previsti per ottenere il gratuito patrocinio, anche in presenza di specifiche difficoltà.

«Norma in contrasto con la Costituzione»: ora deciderà la Consulta

Per i giudici, la norma è «in contrasto con la Carta fondamentale e irragionevole sotto diversi profili allorché non consente, per l’ipotesi di impossibilità di ottenere la certificazione consolare, di considerare tale impossibilità quale causa di esclusione dell’obbligo e comunque presupposto per avvalersi degli strumenti alternativi di decertificazione».

Il caso riguarda un cittadino indiano, al quale la Commissione di ammissione al gratuito patrocinio ha rigettato la richiesta, sostenendo la non validità dell’autodichiarazione «per quanto concerne i redditi prodotti all’estero, che devono essere certificati dal competente consolato». Una certificazione che il soggetto in questione, però, non ha ottenuto per via del silenzio dell’amministrazione del Paese di provenienza, pur avendo inoltrato la domanda come richiesto dal Tusg.

L’esclusione è, dunque, dipesa «dall’inerzia di un soggetto pubblico terzo, non sopperibile allo stato con gli istituti di semplificazione amministrativa e de- certificazione documentale previsti, invece, per i cittadini italiani e dell’Unione europea, con irragionevole vulnus del principio di eguaglianza formale nell’accesso alla tutela giurisdizionale, nella specie da esperirsi contro atti della pubblica amministrazione italiana».

«Tutela giurisidizionale valore di civiltà giuridica fondante il nostro ordinamento»

 

Per il collegio, le soluzioni in cui il legislatore sceglie di muoversi in questo ambito sono «tutte concordemente convergenti nell’espressione di un principio di assistenza e tutela della condizione degli stranieri, ancorché non in regola con le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno, a riprova della preminenza della accessibilità sostanziale - a parità di condizioni - alla tutela giurisdizionale quale valore di civiltà giuridica fondante il nostro ordinamento». E nel caso di specie, «l’effettività dell’accesso alla tutela giurisdizionale sarebbe svuotata della propria portata sostanziale in conseguenza dell’inerzia degli apparati amministrativi degli uffici consolari dei Paesi non appartenenti all’Unione europea». Inerzia chiaramente non ascrivibile al richiedente, che si vedrebbe così inibito, «de facto, all’accesso alla predetta tutela», con esiti che «si pongono diametralmente agli antipodi degli auspici e delle ambizioni perseguite dal Costituente, specialmente laddove si specifica a chiare lettere che l’approntamento degli appositi istituti deve assicurare l’accesso alla tutela davanti ad ogni giurisdizione». A maggior ragione nel giudizio amministrativo, per il quale «è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi davanti agli atti della pubblica amministrazione», con l’eguaglianza sostanziale per tutti, «cittadini italiani, comunitari e extracomunitari, non tollerando discriminazioni». L’esclusione dal diritto al gratuito patrocinio, su tali basi, sarebbe dunque in contrasto con gli articoli 3, 24, 113 e 117, che sanciscono l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, il diritto alla difesa, il diritto alla tutela contro gli atti della pubblica amministrazione e l’esercizio della potestà dello Stato nel rispetto dei vincoli costituzionali, dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Questione che ora toccherà alla Consulta dirimere e che potrebbe portare nuova linfa alle garanzie di tutela dei diritti.