L’espulsione di Luca Palamara dall’Associazione nazionale magistrati ha suscitato commenti rivolti più alle sue dichiarazioni che ai precisi contenuti della decisione del Comitato direttivo centrale. Il comunicato della Giunta riportato in questa pagina smentisce un’affermazione specifica del difensore di Palamara, Roberto Carelli Palombi, contenuta nella sua intervista di ieri su questa testata. Palamara è stato incolpato dall’Associazione di avere partecipato a incontri con consiglieri del Csm e due politici esterni, Cosimo Ferri e Luca Lotti, quest’ultimo imputato, per trattare di nomine e tramare in danno di colleghi. Quando venne sentito dai probiviri, la Cassazione aveva già confermato la sua sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per quei fatti. Palamara era quindi nella pienezza delle proprie facoltà difensive. I suoi proclami scomposti richiedono altre precisazioni.

Palamara asserisce che lo statuto dell’Anm non negherebbe all’incolpato il diritto di essere sentito anche davanti al Cdc prima della decisione. Non è vero. Per statuto le conclusioni dei probiviri sono vincolanti a favore del magistrato incolpato: il Cdc non può discostarsene infliggendo una sanzione più grave di quella che essi abbiano chiesto a chiusura dell’istruttoria. esso è dunque organo che non può raccogliere elementi utili alla valutazione dei fatti, giacché in tal caso dovrebbe astenersi dalla decisione e reinvestire i probiviri, in una sequenza potenzialmente infinita. Ecco perché nell’ultima seduta la richiesta di Palamara di essere sentito è stata tardiva. A memoria non risulta che nel Cdc sia mai stato ascoltato un incolpato. Palamara asserisce che così gli sarebbe stato negato un elementare diritto. Non è vero.

Egli è stato ascoltato e ha depositato una memoria dopo tre rinvii che lui stesso aveva chiesto. Nelle procedure disciplinari verso i dipendenti pubblici la Cassazione afferma da sempre la legittimità dei termini finali stabiliti per fornire le giustificazioni difensive, dovendosi bilanciare diritto di difesa e certezza delle situazioni giuridiche. Se ciò vale quando si discute di posti di lavoro, non si vede perché non dovrebbe valere per la partecipazione all’Anm.

Palamara asserisce che l’Anm l’avrebbe ridotto a capro espiatorio. Non è vero.

La seduta del 20 giugno è stata fissata per giudicare altri cinque magistrati chiamati a rispondere delle stesse condotte: uno, Paolo Criscuoli, è stato sanzionato; gli altri quattro si sono dimessi prima – non a caso? – di essere giudicati. Né può dimenticare, Palamara, che per quei fatti specifici è ancora sub judice la posizione di Cosimo Ferri, dopo che questi si era difeso asserendo di non essere più socio senza peraltro avere mai presentato proprie dimissioni.

Ma Palamara, tramite il suo difensore, accusa l’Anm anche di avere avuto una reazione inadeguata rispetto allo scandalo esploso nel 2019, poiché si sarebbe limitata a fare proposte di modifiche normative per il sistema elettorale e l’attività del Csm. Lo sostiene, evidentemente, per accreditarsi come unica vittima d’una reazione etica apparente. Non è vero. È vero che molte delle idee lanciate dalla Anm si ritrovano oggi nelle proposte del ministro della Giustizia. Ma da luglio scorso l’Anm ha fatto ben di più: l’aggiornamento progressivo del proprio codice etico; l’organizzazione di un voto per le suppletive del Csm diretto a favorire candidature svincolate dai gruppi associativi; un congresso incentrato su questione morale e imparzialità del giudice; la richiesta alla Procura di Perugia degli atti integrali del procedimento verso Palamara, per avviare iniziative disciplinari nei confronti di altri colleghi coinvolti.

L’Anm non intende fermarsi a un caso singolo. Ma chiarezza e rigore esigono il rispetto dei tempi per l’accertamento dei fatti e dei diritti difensivi di ogni associato.

* magistrato, componente della giunta Anm