E’vero che viviamo in tempi fuori dall’ordinario. Ma è pur anche vero che il senso della storia talvolta aiuta. La prima volta in cui sono apparsi gli Stati generali in un sistema sociale e politico della modernità essi avevano senza alcun dubbio il connotato di un rito e di un meccanismo di legittimazione esterna della macchina dell’esercizio del potere.

È tempo che vi siano gli Stati generali del sistema giustizia. Tre ragioni, di metodo e di merito, chiedono ad alta voce che cio’ accada. La prima attiene al fatto che nessuna riforma credibile del sistema giustizia potrà adeguatamente essere progettata e realisticamente essere attuata senza che, sin dalla sua ideazione, non sia ispirata e supportata da due fondamentali: l’esperienza, diversa, complementare, dialettica, ma indistricabile, delle parti- voci che partecipano alla vita organizzativa ed istituzionale del sistema “giustizia” nel suo complesso, avvocatura, magistratura, personale amministrativo. La seconda ragione attiene al fatto che nessun intervento di lungo periodo – e non sarebbe uno scenario che il cittadino intenderebbe vedere quello di un utilizzo frammentato e non sostenibile del recovery fund – puo’ essere fatto senza sapere esattamente quali sono gli effetti di interdipendenza fra le varie misure prese per la giustizia del XXI secolo: investire sulla riforma delle intercettazioni significa investire sulla cyber security; investire sul processo civile telematico presso il giudice di pace significa porsi il problema dei riti della giustizia; investire sugli sportelli all’utenza significa investire sulle diverse articolazioni extra giurisdizionali, e così di seguito.

La terza ragione è che, lo si è detto ma è bene ricordarlo, ci è data la responsabilità di pensare al sistema “giustizia” del 2030. Una responsabilità grande, che appunto merita, come quando ci si accinge a sottoscrivere un “patto sulle regole del gioco” un patto per la ‘ architettura’ di cui il sistema “giustizia” ha bisogno, di un metodo da grandi occasioni: gli Stati generali. Chi deve sedere al tavolo? Il CNF, il CSM, il Ministero della Giustizia, participanti d’obbligo: ma non lasciamoli da soli! Abbiamo bisogno che a quel tavolo seggano anche quegli attori istituzionali, economici e sociali che di una giustizia che funziona e che sia servizio intelligibile e affidabile hanno bisogno, hanno bisogno, per potere al meglio investire, non tanto sul piano materiale, quanto sul piano fiduciario, verso il futuro. Senza regole e diritti certi che siano tutelati i secondi e rispettate le prime in modo diffuso quale fiducia mai potrebbe esistere a livello sistemico? E la parola sistema pare ricorrere come un matra... Chiamiamo a quel tavolo Unioncamere, chiamiamo Legambiente, chiamiamo Il Forum del terzo settore e le Associazione dei consumatori, chiamiamo i Comuni, chiamiamo la piattaforma delle professionalità tecniche. E sono solo alcuni esempi.

Facciamo una Air ( analisi di impatto della regolazione) del progetto di sistema “giustizia” che vogliamo per il 2030: rigorosa, partecipata, accountable, comprensibile al cittadino. E investiamo su cio’ che ha la capacità di durare nel tempo e che non puo’ attendere oltre: 1) Edilizia giudiziaria: gli spazi di giustizia del XXI secondo sono spazi pensati con l’anima verde e quella civica dentro, che sono già progettati sapendo che una parte della giustizia il cittadino non la chiede alla giurisdizione ma in spazi extra giudiziali, come la mediazione, e che una parte delle funzioni sono espletate – soprattutto quelle di carattere amministrativo, contabile, e tutto cio’ che è gestione e razionalizzazione degli accessi – anche in remoto.

2) Spazi ibridi. Cyber security e gestione banche dati. La giustizia del XXI è una giustizia che chiede di prendere sul serio il potenziale di conoscenza che esiste nelle banche dati e che si confronta con responsabilità inter- temporale con il tema della sicurezza. La qualità del dato va insieme alla qualità della conoscenza sul sistema giustizia, di cui al punto c.

3) Osservatorio integrato su ricerca monitoraggio analisi e valutazione del sistema giustizia, che presidi in modo inter- professionale – con la voce di CNF CSM Ministero della giustizia – e in un dialogo permanente con le università la qualità del sistema, comprensiva di buona gestione, crescita delle professionalità, quality assurance rispetto a rischi, buona governance tecnologica.

4) Creazione di macro- direzioni inter- regionali che diventino lo snodo di interfaccia sul territorio della governance del sistema “giustizia” con le altre funzioni della governance pubblica, fra cui sanità, protezione civile, in rete con le istituzioni stakeholders. 5) Investimento sulla dotazione tecnologica per la giustizia di prossimità ovvero per la risposta capillare al contenzioso che più tocca la vita dei cittadini ed in particolare delle fasce deboli, ivi compreso il giudice di pace.

6) Investimento su uffici distrettuali a composizione professionale ibrida – avvocatura e personale amministrativo e personale togato insieme con applicazioni di competenze esterne per ambiti come la statistica, gare e appalti.

7) Investimento sull’impianto edilizio carcerario pensato sin dall’inizio in conformità con lo spirito e gli esiti già sul campo della riforma della messa alla prova. Sette riforme, sette investimenti: non per utilizzare i fondi, ma per darsi la chance, finalmente, grazie al recovery fund, di pensare insieme, bene, e per qualcosa che vada oltre cicli di legittimazione rappresentativa contingenti, comprensibili, certo, ma ai cittadini sempre più alieni.