La scarcerazione di Massimo Carminati ha riempito le pagine di tutti i giornali e suscitato molte polemiche. Ieri la Procura generale della Corte di Appello ha disposto l'obbligo di dimora nel comune di Sacrofano. «Una decisione che fatico a comprendere» commenta il suo difensore Cesare Placanica, che lo assiste insieme al collega Francesco Tagliaferri. Ne parliamo con il suo difensore Cesare Placanica, che lo assiste insieme al collega Francesco Tagliaferri.

Avvocato Placanica tanto clamore per nulla, in fondo si è solo rispettata la legge? Determinate sensibilità nell'opinione pubblica spesso prescindono dai dati concreti. Quello che si è verificato è in realtà l'esplicazione di un principio generale non solo del nostro ordinamento giuridico ma di tutti quelli caratterizzati da un alto tasso di democrazia che prevedono un limite alla carcerazione preventiva. Tra l'altro in Italia questi limiti sono estremamente ampi, molto più degli altri Paesi. Qui la carcerazione preventiva è afflitta da un abuso.

Molti hanno legato la decorrenza dei termini della sentenza “Mondo di mezzo” con la scarcerazione di Carminati. Se c'è un caso in cui la decorrenza dei termini è assolutamente priva di ogni responsabilità è “Mafia Capitale” perché sotto il profilo della tempistica i giudici sono stati molto celeri. Io sapevo che Carminati sarebbe uscito dal carcere quando è stata emessa il 22 ottobre 2019 la sentenza della Cassazione: era impossibile evitare la scarcerazione. Il mio assistito, cadendo l'accusa di mafia, resta imputato per fatti che non possono consentire una custodia preventiva oltre i 5 anni e 4 mesi. In quella data ne aveva scontati quasi 5 e sapevo che era impossibile in 4 mesi pubblicare le motivazioni della Cassazione, trasmettere gli atti alla Corte di Appello, celebrare il giudizio di appello bis, trattarlo, scrivere le motivazioni e dare i termini alle parti per impugnarle.

Però il ministro Bonafede ha inviato gli ispettori. Questo sistema di mettere all'indice i magistrati che fanno il proprio lavoro non giova per niente alla giurisdizione. In qualche modo può condizionare e intimorire il giudice, messo nelle condizioni di avere una dote che nessun Paese civile può pretendere da un giudice: il coraggio. Io ho dedicato gran parte della mia discussione dinanzi al Tribunale del Riesame nel dire ai giudici: “verrete criticati aspramente se applicherete la legge ma so che il vostro senso del dovere non può fare a meno di rispettarla” nel disporre la scarcerazione di Carminati. Quello di Bonafede è un messaggio privo di serietà, rivolto ai naviganti, a coloro che non hanno cognizioni giuridiche: le ispezioni si fanno, non si annunciano. I magistrati così subiscono il linciaggio dell'opinione pubblica, perché appaiono non solo come ingiusti ma anche collusi con un fantomatico sistema che vuole farla fare franca a Carminati. Spero che l'Anm faccia sentire la proprio voce.

Alfonso Sabella in una intervista al Corriere della Sera ha detto: ' come spiegare ad un cittadino comune che, con quel curriculum criminale, Carminati adesso resti a casa sua?'. Sabella ha premesso che Carminati è uscito per rispetto delle regole del codice. Però Sabella fa il giudice ma ogni volta che parla non nasconde la sua natura di pubblico ministero. Credo che la sua sia una visione assolutamente partigiana che parte da un dato: Carminati è l'uomo nero, il manovratore di tutte le trame occulte d'Italia e quindi è ingiustificato che sia libero. Tuttavia uno è un uomo nero, un mafioso, un omicida solo se è scritto negli atti processuali: se lui mette in discussione ciò non fa altro che mancare di fiducia alla valutazione della giurisdizione.

La Procura generale della Corte di Appello ha disposto ieri l'obbligo di dimora per Carminati, che non potrà spostarsi dal Comune di Sacrofano. Fatico a comprendere questa decisione perché voglio ricordare che nel processo per l'omicidio Pecorelli Carminati si era presentato davanti al carcere per costituirsi qualora fosse stato ritenuto colpevole ed era consapevole che rischiava l'ergastolo; mi sembra difficile che adesso si dia alla fuga.

Enrico Bellavia su Repubblica ha scritto: ' Se le mafie si evolvono e cambiano pelle, anche la giurisprudenza dovrebbe adeguarsi offrendo strumenti per qualificare incisivamente ciò che appare come un grado più sofisticato di consorteria mafiosa'. Mi sembra un discorso illiberale, da difesa sociale tipico di uno Stato totalitario. Adeguare al fatto concreto l'effettiva valenza di una norma è una prassi tipica della giurisprudenza. Ma bisogna tenere presente che tutti i reati associativi sono già reati estremamente difficili da inquadrare sotto il profilo della condotta. L'essenza di ogni sistema penale democratico è che il fatto vietato deve essere descritto nei particolari.

L'arresto di Carminati è finito in tutte le televisioni. La sua scarcerazione anche. C'è sempre il solito problema della giustizia show? Nutro grande rispetto per il diritto di informazione che come tutti i diritti deve incontrare un limite che è quello del rispetto della dignità dell'uomo. Riprendere e pubblicare l'arresto di una persona, che è un momento di estrema delicatezza, significa violare l'intimità e i diritti essenziali dell'uomo. Nel nostro ordinamento è esplicitamente vietato questo: è una norma introdotta dopo la pubblicazione di alcune immagini di cui il nostro Paese si deve vergognare, come l'arresto di Enzo Tortora.