Riformare le riforme, che grande sbaglio. Il grande salto si fa solo con il digitale
Ripensare gli spazi, investire in modo integrato su macro aree, sfruttare la conoscenza nelle università. E non scambiare come al solito I mezzi per i fini
Non risorsa, non strumento, nemmeno medium. Paradigma. Infrastruttura funzionale che obbliga, a prenderla sul serio, a ripensare completamente il modo di a) costruire regolazione, b) costruire valore aggiunto pubblico e privato c) tracciare la linea fra pubblico e privato d) fare co- operare le intelligenze a prescindere dello spazio e) costruire i meccanismi dei controlli.
Erano anni, decenni, che non si parlava di un finanziamento di nuova generazione avente una magnitudine considerevole, originato da un allentamento – o superamento? – dei vincoli di bilancio e debito previsti dai dispositivi di regolazione europea. Erano anni e ce ne eravamo accorti. La rincorsa alla crescita ed alla flessione del peggioramento degli indicatori macroeconomici che è stata al centro del dibattito europeo e nazionale nell’Unione europea e nella Euro zona a partire dal 2007, anno in cui abbiamo visto irrompere nella agenda istituzionale la tematica della razionalizzazione della spesa e della risposta alla crisi economica e finanziaria, si è confrontata in questi tre mesi con il rasoio di Ockham: tutto cio’ che era superfluo è emerso alla luce del sole come qualcosa che forse non ci deve accompagnare nel XXI secolo. Fra queste strumentazioni superflue le moltissime, successive ondate di interventi sullo stock di risorse in dotazione delle organizzazioni pubbliche e private se – questo è il punto dirimente – non intrecciate e rese fortemente interdipendenti ad una strategia di investimento sulle infrastrutture immateriali, impalpabili, non ostensibili. Le infrastrutture funzionali.
Invece di pensare a cio’ di cui c’è bisogno per funzionare in modo eccellente in un mondo nuovo, si è fatto manutenzione delle strutture esistenti. Le riforme naturalmente si sono dispiegate di conseguenza. Riforme per riformare, e riforme per rispondere ai disfunzionamenti delle strutture emerse dalla combinazione di cio’ che vi era prima della ennessima riforma e di cio’ che quella base di partenza più l’impianto nuovo moltiplicato per i processi di attuazione che sono sempre punti di una catena lunga di arene di discussione redifinizione aggiustamento al margine riscrittura della norma iniziale, hanno dato. Non è più possibile procedere cosi, ed è tempo che torniamo su due categorie per evitare di cadere nella trappola della panacea digitale. È prevedibile che il recovery fund cosi come l’intera strategia europea di finanziamento della ricerca, della innovazione e dello sviluppo imprenditoriale, siano fortemente segnati dal tema del digitale. Già nello scorcio finale dei programmi di finanziamento che hanno coperto il 2014- 2020 abbiamo visto un progressivo aumentare dello spazio aperto al digitale. La risposta alla emergenza pandemica ha visto, per sua parte, aumentare esponenzialmente il ruolo giocato dalla tecnologia digitale nel rendere possibile funzioni – la formazione, le funzioni amministrative, soltanto per citarne due, fra quelle vitali di una società democratica – che altrimenti, in condizioni di riduzione della fruibilità degli spazi materiali disponibili non avrebbero potuto essere svolte. Già diverse volte lo si è detto, ma insistere sul punto non è inutile: il digitale non è l’aggiunta della “e-“a cio’ che c’era prima. Non so se si tratti di un di più o di un di meno, ma si tratta certamente di qualcosa di qualitativamente diverso.
Il digitale è un salto di paradigma antropologico e, cosi essendo, anche culturale, organizzativo, sociale, regolativo. È evidente dunque che l’arrivo delle risorse del recovery fund che incontra nella sua strada di entrata nel sistema paese i punti messi in evidenza dal rapporto Colao va bene inteso ed inquadrato per non essere vissuto come l’arrivo di risorse. Sarebbe oltremodo fuorviante. Mettete risorse in una macchina che non funziona e tutto sommato ne otterrete una macchina ingolfata. Si riformi la PA, si potrebbe dire. Sulle pagine di questo e di molti altri quotidiani eminenti studiosi hanno ricordato l’urgenza della semplificazione della macchina amministrativa che, da sola, appare essere un fattore condizionante la possibilità di tradurre in vita organizzativa e sociale la teorica promessa della ripresa del paese. Ma non è sufficiente. Riformare la PA soltanto – e figuriamoci se non sarebbe di già moltissimo – sarebbe pensare ancora in termini di riduzione dei costi di attuazione, dei costi, in senso ampio, perché è in termini di costi che si ragiona quando si dice che la PA “pesa” sullo sviluppo. Non è la categoria del costo che ci serve, è quella del valore. Il digitale è un paradigma che ci impone di pensare come le organizzazioni pubbliche e private possono, ciascuna, contribuire a creare un valore che resta. Cinque proposte allora.
Costruire sugli spazi con un approccio ibrido sin da subito. Edilizia scolastica come edilizia pubblica sono da ripensarsi perché una parte delle funzioni saranno svolte in remoto e altre in presenza. Ripensiamo subito gli spazi per la presenza come gli spazi dove si crea quel valore aggiunto di cui abbiamo bisogno per non terminare lo slancio di crescita quando saranno finiti i fondi.
Investire in modo integrato su macro aree. L’Italia è una realtà molto frammentata ma il digitale ci permette di pensare in modo integrato, dove alcune azioni o tipi di azioni possono essere svolte in modo integrato a scala di macro area regionale ( o inter- regionale) e altre a livello locale. Vale nella urbanistica green, vale nella gestione della res publica.
Non fare trascorrere nemmeno un giorno nella dichiarazione degli intenti. È un tempo che non abbiamo e la strada del non utilizzo dei fondi europei è una strada che abbiamo tutte le consapevolezze per non percorrere. Riconoscere che le conoscenze e le visioni strategiche sono nelle nostre aule scolastiche e universitarie. Aspettano solo che qualcuno non solo le ascolti, ma faccia delle loro idee delle azioni concrete.
Investiamo sulla infrastruttura che rende possibile tutto il resto. Essere connessi al massimo delle potenzialità tecnologiche non è un obiettivo di progetto. È una precondizione per potere fare si che gli stakeholders che sono pronti a scommettere sul paese possano navigare nelle opportunità del nuovo certi che l’accesso al digitale è un acquis. Altrimenti avremo scambiato i mezzi per i fini. E di solito non è una buona notizia…
Riformare le riforme, che grande sbaglio. Il grande salto si fa solo con il digitale
Non risorsa, non strumento, nemmeno medium. Paradigma. Infrastruttura funzionale che obbliga, a prenderla sul serio, a ripensare completamente il modo di a) costruire regolazione, b) costruire valore aggiunto pubblico e privato c) tracciare la linea fra pubblico e privato d) fare co- operare le intelligenze a prescindere dello spazio e) costruire i meccanismi dei controlli.
Erano anni, decenni, che non si parlava di un finanziamento di nuova generazione avente una magnitudine considerevole, originato da un allentamento – o superamento? – dei vincoli di bilancio e debito previsti dai dispositivi di regolazione europea. Erano anni e ce ne eravamo accorti. La rincorsa alla crescita ed alla flessione del peggioramento degli indicatori macroeconomici che è stata al centro del dibattito europeo e nazionale nell’Unione europea e nella Euro zona a partire dal 2007, anno in cui abbiamo visto irrompere nella agenda istituzionale la tematica della razionalizzazione della spesa e della risposta alla crisi economica e finanziaria, si è confrontata in questi tre mesi con il rasoio di Ockham: tutto cio’ che era superfluo è emerso alla luce del sole come qualcosa che forse non ci deve accompagnare nel XXI secolo. Fra queste strumentazioni superflue le moltissime, successive ondate di interventi sullo stock di risorse in dotazione delle organizzazioni pubbliche e private se – questo è il punto dirimente – non intrecciate e rese fortemente interdipendenti ad una strategia di investimento sulle infrastrutture immateriali, impalpabili, non ostensibili. Le infrastrutture funzionali.
Invece di pensare a cio’ di cui c’è bisogno per funzionare in modo eccellente in un mondo nuovo, si è fatto manutenzione delle strutture esistenti. Le riforme naturalmente si sono dispiegate di conseguenza. Riforme per riformare, e riforme per rispondere ai disfunzionamenti delle strutture emerse dalla combinazione di cio’ che vi era prima della ennessima riforma e di cio’ che quella base di partenza più l’impianto nuovo moltiplicato per i processi di attuazione che sono sempre punti di una catena lunga di arene di discussione redifinizione aggiustamento al margine riscrittura della norma iniziale, hanno dato. Non è più possibile procedere cosi, ed è tempo che torniamo su due categorie per evitare di cadere nella trappola della panacea digitale. È prevedibile che il recovery fund cosi come l’intera strategia europea di finanziamento della ricerca, della innovazione e dello sviluppo imprenditoriale, siano fortemente segnati dal tema del digitale. Già nello scorcio finale dei programmi di finanziamento che hanno coperto il 2014- 2020 abbiamo visto un progressivo aumentare dello spazio aperto al digitale. La risposta alla emergenza pandemica ha visto, per sua parte, aumentare esponenzialmente il ruolo giocato dalla tecnologia digitale nel rendere possibile funzioni – la formazione, le funzioni amministrative, soltanto per citarne due, fra quelle vitali di una società democratica – che altrimenti, in condizioni di riduzione della fruibilità degli spazi materiali disponibili non avrebbero potuto essere svolte. Già diverse volte lo si è detto, ma insistere sul punto non è inutile: il digitale non è l’aggiunta della “e-“a cio’ che c’era prima. Non so se si tratti di un di più o di un di meno, ma si tratta certamente di qualcosa di qualitativamente diverso.
Il digitale è un salto di paradigma antropologico e, cosi essendo, anche culturale, organizzativo, sociale, regolativo. È evidente dunque che l’arrivo delle risorse del recovery fund che incontra nella sua strada di entrata nel sistema paese i punti messi in evidenza dal rapporto Colao va bene inteso ed inquadrato per non essere vissuto come l’arrivo di risorse. Sarebbe oltremodo fuorviante. Mettete risorse in una macchina che non funziona e tutto sommato ne otterrete una macchina ingolfata. Si riformi la PA, si potrebbe dire. Sulle pagine di questo e di molti altri quotidiani eminenti studiosi hanno ricordato l’urgenza della semplificazione della macchina amministrativa che, da sola, appare essere un fattore condizionante la possibilità di tradurre in vita organizzativa e sociale la teorica promessa della ripresa del paese. Ma non è sufficiente. Riformare la PA soltanto – e figuriamoci se non sarebbe di già moltissimo – sarebbe pensare ancora in termini di riduzione dei costi di attuazione, dei costi, in senso ampio, perché è in termini di costi che si ragiona quando si dice che la PA “pesa” sullo sviluppo. Non è la categoria del costo che ci serve, è quella del valore. Il digitale è un paradigma che ci impone di pensare come le organizzazioni pubbliche e private possono, ciascuna, contribuire a creare un valore che resta. Cinque proposte allora.
Costruire sugli spazi con un approccio ibrido sin da subito. Edilizia scolastica come edilizia pubblica sono da ripensarsi perché una parte delle funzioni saranno svolte in remoto e altre in presenza. Ripensiamo subito gli spazi per la presenza come gli spazi dove si crea quel valore aggiunto di cui abbiamo bisogno per non terminare lo slancio di crescita quando saranno finiti i fondi.
Investire in modo integrato su macro aree. L’Italia è una realtà molto frammentata ma il digitale ci permette di pensare in modo integrato, dove alcune azioni o tipi di azioni possono essere svolte in modo integrato a scala di macro area regionale ( o inter- regionale) e altre a livello locale. Vale nella urbanistica green, vale nella gestione della res publica.
Non fare trascorrere nemmeno un giorno nella dichiarazione degli intenti. È un tempo che non abbiamo e la strada del non utilizzo dei fondi europei è una strada che abbiamo tutte le consapevolezze per non percorrere. Riconoscere che le conoscenze e le visioni strategiche sono nelle nostre aule scolastiche e universitarie. Aspettano solo che qualcuno non solo le ascolti, ma faccia delle loro idee delle azioni concrete.
Investiamo sulla infrastruttura che rende possibile tutto il resto. Essere connessi al massimo delle potenzialità tecnologiche non è un obiettivo di progetto. È una precondizione per potere fare si che gli stakeholders che sono pronti a scommettere sul paese possano navigare nelle opportunità del nuovo certi che l’accesso al digitale è un acquis. Altrimenti avremo scambiato i mezzi per i fini. E di solito non è una buona notizia…
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