Si tratta ad oltranza in Argentina per evitare il tonfo del default. Dopo la seconda proroga ottenuta il 22 maggio il ministro dell'Economia Martín Guzmán, plenipotenziario argentino nella trattativa, ha chiesto un terzo rinvio della scadenza. Le autorità della Borsa di New York, arbitro nella disputa con i creditori al momento, l’hanno concessa perché le parti sono vicine a un'intesa. La disputa non è sul valore del debito, ma sugli interessi accumulati.

I bond emessi dall'Argentina hanno una scadenza di lungo termine. Due dei tre gruppi di creditori - il più influente dei quali si chiama BlackRock offrono come ultima mediazione possibile un interesse sui loro crediti che non scenda sotto il 4,2 per cento. Il governo argentino non è disposto a superare il 3.

La differenza in termini finanziari è considerata minima, quindi si tratta e dietro le quinte si continua a negoziare per evitare che l’Argentina cada in un vero default. Sarebbe il nono della sua storia. Per ora Buenos Aires, al terzo anno consecutivo di recessione economica e con una previsione di caduta della produzione economica che supera il 6%, rimane nell’ombra non drammaticissima del default tecnico.

Il governo federale non riesce a pagare i 503 milioni di dollari di bonus scaduti il 22 maggio, ma i contatti per negoziare un nuovo accordo su condizioni e scadenze fervono.

Il governo neoperonista di Anibal Fernandez – la cui vice è l’ex presidente Cristina Kirchner che fu protagonista nel 2014 di una spettacolare propaganda per non pagare i fondi pensione stranieri ai suoi creditori quando, da presidente, avvolse Buenos Aires di milioni di manifesti con scritto “non pagheremo i fondi avvoltoi” – sa di poter contare su una comoda e taciuta realtà: ai suoi creditori conviene trattare tanto quanto a lui.

Il Fondo monetario internazionale infatti, in un’analisi dettagliata della situazione argentina, ha messo nero su bianco il fatto che, poiché per l’Argentina sarebbe impossibile onorare i suoi debiti nei modi e nei tempi previsti, i creditori stranieri avranno la possibilità di veder ripagato in parte il loro credito soltanto se accetteranno di ricevere meno soldi di quanti ne dovrebbero avere. Ha detto sostanzialmente il Fmi: trattate, è un ordine.

Fernandez va fierissimo di questa manna dal cielo targata Fmi e da settimane va ripetendo: “Nessuno cade da solo”. Anibal Fernandez ha buon gioco. L’Argentina alle ultime elezioni ha ribaltato il colore del suo governo.

Sconfitto il liberista Maurico Macri è tornata alla sua eterna passione: il sempre verde peronismo nella sua declinazione radical, tanto che la campagna per Fernandez l’ha fatta l’ex presidente Cristina. D’altra parte il Fmi ai tempi della direzione generale di Christine Lagarde ( ora alla presidenza della Banca centrale europea) ha elargito l’incredibile cifra di 57 miliardi di dollari di prestito al governo Macri, passato per affidabilissimo creditore nonostante i conti drammatici argentini non fossero un segreto. Mai tanti soldi erano stati prestati tutti insieme dal Fmi a un Paese. Nel luglio del 2019 Lagarde disse di aver «sottostimato un po’ la crisi argentina». E nel febbraio corso il Fmi se ne è uscito con la raccomandazione ai fondi privati di collaborare con Buenos Aires. Per questo il ministro dell’economia Guzman ha potuto presentare una proposta di rinegoziazione del debito che prevede per l’Argentina un periodo di grazia di tre anni, ossia un periodo durante il quale nemmeno un centesimo gli può essere richiesto indietro. Quindi Buenos aires non pagherebbe un dollaro fino al 2023. Molti creditori possono essere indotti a pensare che sia sconviente rifiutare di netto la proposta e ricorrere a un tribunale per dirimere il caso proprio perché ci sono almeno tre anni di attesa prima di poter reclamare il primo pagamento. A chi di certo non conviene che loro ricorrano a un tribunale e provochino così il default con tonfo assordante dell’Argentina è il Fondo monetario internazionale.

Poiché è stato proprio il Fondo a fare un prestito record a Buenos Aires - 57 miliardi di dollari, il più grande della sua storia – se l’Argentina dovesse crollare sotto il peso di un debito insostenibile sarebbe innanzitutto il Fondo a perdere la sua credibilità come arbitro nelle partite di finanza internazionale.

E diventerebbe inevitabile spiegare perché la Lagarde concesse al governo Macri, senza batter ciglio, quel prestito inusuale. Decisione misteriosa.