Luigi Di Maio che si scontra con Davide Casaleggio, che spiana la strada ad Alessandro Di Battista, che vorrebbe disarscionare Giuseppe Conte, che gode della stima di Beppe Grillo. La guerra per il controllo del Movimento 5 Stelle, rimandata causa emergenza Covid, riesplode in vista del primo congresso grillino, nonostante non esista nemmeno una data orientativa per l’appuntamento. Ma visto che la “reggenza” Crimi non dovrebbe arrivare al 2021, i pretendenti al trono cominciano a muoversi. Il gioco è complesso e per nulla lineare. Alleanze di comodo e tradimenti provvisori si consumano al ritmo degli imprevisti quotidiani. Come la presa di posizione pubblica di Casaleggio - dominus di Rousseau e dunque custode delle regole del Movimento - sul vincolo dei due mandati. Per il figlio del fondatore l’ultimo tabù pentastellato ( due legislature e poi a casa) non deve cadere e Casaleggio mette in chiaro che non c’è cambiamento statutario che non passi per un voto sulla piattaforma gestita dalla sua associazione.

Una doccia fredda per la vecchia guardia che potrebbe provare a coalizzarsi per esautorare il figlio di Gianroberto. Se prevalesse la linea Casaleggio, infatti, per i vari Di Maio, Crimi, Taverna, Fico, Bonafede e Toninelli si chiuderebbero definitivamente le porte dei Palazzi. E le sindache di Roma e Torino dovrebbero dire addio a ogni ambizione di ricandidatura. Resterebbe spazio solo per Alessandro Di Battista, l’unico big ad aver saltato un giro e ad avere tutti i documenti in regola per prendersi il partito e rientrare nelle istituzioni.

Eppure non è detto che la vecchia coppia pentastellata Dibba- Di Maio si faccia trascinare nel vortice della guerra fratricida. I due hanno molti più punti in comune di quel che si pensi: sono complementari, entrambi ostili al Pd anche se con stili diversi, entrambi sostenitori della “terza via”, entrambi consapevoli della necessità di controllare i gruppi parlamentari, l’unica vera base politica del Movimento. «Alla fine potrebbero stringere un patto per dividersi il potere ed estromettere Casaleggio già al congresso», spiegano fonti grilline. Ridimensionare il figlio del fondatore significa infatti assicurarsi la lealtà di deputati e senatori terrorizzati all’idea del ritorno a casa dopo il secondo mandato e stanchi di versare mensilmente l’obolo a Rousseau. Se il “colpo di Stato”, da realizzare con un documento ufficiale al congresso, funzionasse, per il M5S si aprirebbe una nuova fase che passerebbe necessariamente per lo sgambetto a Conte e la fine dell’alleanza col Pd anche a Roma e Torino, con Raggi e Appendino lanciate alla ricerca del terzo mandato e contrapposte ai dem.

Ma è a questo punto che entra in gioco l’altro attore che nessun pretendente al trono può pensare di ignorare: Beppe Grillo, il fondatore in vita. Il comico non è solo un simbolo per il popolo 5 Stelle, anzi, continua a rivestire, benché defilato, un ruolo politico: è il “garante” del partito con poteri ben definiti, l’unico in carica a vita, il solo a poter sfiduciare in maniera unilaterale il capo politico. In queste ore, le voci di un possibile ritorno in campo del vecchio mattatore diventano sempre più consistenti. A invocarlo non sono solo gli attivisti preoccupati da possibili scissioni, ma anche tanti parlamentari, soprattutto di fede fichiana, allarmati dall’ostilità del gruppo dirigente verso Conte. Grillo è l’unico in grado di far da scudo al premier, di cui si fida, e mettere a tacere i cospiratori. L’autorevolezza dell’“elevato” continua a intimorire persino l’ormai navigato ministro degli Esteri, soprattutto se messa al servizio del capo del governo. E l’incognita Conte resta l’ultima variabile di questa guerra pentastellata: tornerà a fare l’avvocato? Proverà a prendersi il Movimento con l’ausilio di Grillo? O preferirà seguire un percorso politico tutto suo, realizzando nei fatti una scissione dalla “casa madre”? Difficile prevederlo al momento, l’unica certezza è che se fondasse un partito autonomo si porterebbe con sé un pezzo rilevante del M5S, a livello parlamentare ed elettorale. A Di Maio e Di Battista non resterebbe che guidare una forza del 10 per cento ( secondo i più recenti sondaggi) da dirottare a destra o a sinistra a seconda delle esigenze. In fin dei conti, solo così il Movimento si trasformerebbe nel famoso «ago della bilancia» tanto caro all’ex capo politico. Sempre che il sogno di Grillo e Casaleggio senior non si disintegri alla prova del primo congresso.